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Regionali nelle marche

Come fa una regione (ex) rossa a diventare feudo di Fratelli d'Italia?

David Allegranti

 Il Pd cerca alibi, il M5s si nasconde. Ma veri nodi da sciogliere per le regionali sono sanità, trasporti e infrastrutture. Un'indagine

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Nemmeno quando Berlusconi era nei suoi cenci e alle elezioni regionali del 2010 il Pdl valeva il 31,20 per cento, le Marche erano così spostate a destra, con il candidato della coalizione scelto da Fratelli d’Italia – Francesco Acquaroli – dato per vincente di 15 punti. Tutt’altro che un moderato, il possibile futuro presidente della Regione, noto alle cronache per la famigerata “cena fascista”. Tant’è che anche i liberali di Forza Italia sono preoccupati dalla possibilità che vinca, ma ormai si sono rassegnati e preferiscono brindare anche loro al “cambiamento”, la parolina magica delle elezioni regionali nelle zone (ex) rosse, dove ormai tutto sembra possibile. 

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Nemmeno quando Berlusconi era nei suoi cenci e alle elezioni regionali del 2010 il Pdl valeva il 31,20 per cento, le Marche erano così spostate a destra, con il candidato della coalizione scelto da Fratelli d’Italia – Francesco Acquaroli – dato per vincente di 15 punti. Tutt’altro che un moderato, il possibile futuro presidente della Regione, noto alle cronache per la famigerata “cena fascista”. Tant’è che anche i liberali di Forza Italia sono preoccupati dalla possibilità che vinca, ma ormai si sono rassegnati e preferiscono brindare anche loro al “cambiamento”, la parolina magica delle elezioni regionali nelle zone (ex) rosse, dove ormai tutto sembra possibile. 

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L’Umbria d’altronde è già caduta, l’Emilia-Romagna ha rischiato di cadere, la Toscana – secondo i sondaggi – è in bilico. Le Marche invece già sembrano aver svoltato. “Le Marche non sono una regione rossa, sono una regione democristiana. Noi siamo democristiani. Ma questa volta l’anima democristiana non vincerà”, sintetizza al Foglio Francesco Casoli, presidente di Elica, azienda leader mondiale nel settore delle cappe aspiranti da cucina, già senatore del Pdl. “E va detto anche che la destra marchigiana è inesistente, non ha mai espresso personalità di rilievo, a parte Mario Baldassarri, che però è stato viceministro non esattamente un capocorrente. Nemmeno Berlusconi all’apice è riuscito a sfondare nelle Marche, ci voleva Giorgia Meloni”, dice al Foglio Lorenzo Castellani, ricercatore alla Luiss, allievo di Giovanni Orsina e fabrianese. 

    

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La situazione è complessa per il centrosinistra che attualmente governa. Anche perché Luca Ceriscioli, professore di matematica e fisica, presidente uscente della Regione, già sindaco di Pesaro per due mandati, non è amato nemmeno dai suoi e non a caso è stato congedato dopo un solo mandato, anche se lui – ha detto in un’intervista al Resto del Carlino – deve capire ancora “come si è arrivati a certe decisioni”. Trovare un dirigente di centrosinistra che ne parli bene è impresa rara. Anzi, centrodestra, centrosinistra e grillini ripetono le stesse cose: i punti deboli della Regione Marche sono sanità e infrastrutture. Il candidato di centrosinistra Maurizio Mangialardi, che ne ha raccolto l’eredità, non poteva partire più in salita di così. Ceriscioli è convinto che sia stato solo un problema di comunicazione, vecchia scusa: “Credo di non aver raccontato bene quello che ho fatto… Abbiamo fatto molte cose positivi che non ci sono state riconosciute. Qualcosa ho sbagliato”.

   

    

    

Dice Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, che a lungo ha sperato in un’alleanza con i Cinque stelle: “Noi cercheremo di polarizzare al massimo lo scontro tra Mangialardi e Acquaroli, anche perché per vincere dobbiamo azzerare i Cinque stelle che sono stati molto scorretti nei nostri confronti. C’erano tutte le condizioni per fare l’alleanza, non l’hanno fatta, e rischiano solo di avvantaggiare l’estrema destra”. Nel 2018 i Cinque stelle avevano fatto il botto: 35,55 per cento (316.417 voti), un anno dopo sono scesi al 18,4 per cento (141.239 voti, mentre la Lega è passata dal 17,27 (153.742 voti) delle Politiche nel 2018 al 38 per cento (291.061) delle Europee del 2019. Stabile Fratelli d’Italia, salito dal 4,88 al 5,8. Ma questo 2020 è già proiettato in un’altra epoca e Meloni esprime addirittura il candidato governatore: “Acquaroli è proprio un uomo della Meloni. Non lo conosce nessuno e uno dei pochi motivi per cui lo conoscono è per quella cena in memoria della marcia su Roma”, dice ancora Ricci. “Per noi un avversario facile, sconosciuto ed estremista. Però le Marche non sono più una regione di centrosinistra da diversi anni. Quindi dobbiamo combattere fino alla fine. Se riusciremo a polarizzare al massimo lo scontro sono convinto che Mangialardi vincerà, anche perché ha un profilo istituzionale molto più ampio; molto più in grado non solo di parlare agli elettori dei Cinque stelle ma anche di parlare ai ceti produttivi marchigiani e al mondo più moderato marchigiano. Le Marche non sono una regione estremista, ma moderata, quindi credo che prima di mettersi nelle mani degli estremisti i cittadini ci ragioneranno bene”. Ma l’appello al popolo di sinistra contro “i fascisti” potrà funzionare stavolta? Pare proprio di no. “Si prospetta una débâcle del centrosinistra. Sono almeno due i fattori che influenzano queste elezioni regionali”, dice al Foglio Roberto Sorci, ex sindaco di Fabriano per due mandati (centrosinistra, coté democristiano). “Da una parte la situazione della sanità, con lo scontento elevatissimo della popolazione ma anche degli addetti ai lavori. Il fatto che negli ultimi cinque anni il presidente si sia occupato lui di sanità ha creato una serie di problemi. Ha fatto scelte depauperando l’entroterra rispetto ai centri con maggior abitanti. Poi c’è la crisi economica. Questa è una regione a forte esportazione. Un tempo a Fabriano c’erano le cinque più grandi aziende delle Marche. Indesit è stata venduta a Whirlpool, che l’ha assassinata. Le cartiere sono state vendute a un gruppo americano. Quando ero sindaco, prendevo in giro il collega di Jesi dicendo che le aziende del mio territorio erano tutte a Fabriano e le sue avevano sede altrove, come Fiat Trattori. Gli dicevo, allargando il petto: ‘Vedi, se qualcuno in qualche posto lontano gira una chiavetta, tu chiudi tutto’. Ecco, ora è un disastro”. Ed è un disastro, spiega Sorci, perché a differenza dei grandi gruppi che hanno cambiato proprietà, “le tante piccole e medie imprese stanno soffrendo terribilmente la crisi internazionale”. Non c’entra solo il Covid, la crisi c’è da tempo: “Chi produceva scarpe faceva i campionari quattro volte all’anno, come l’abbigliamento. Oggi, per la concorrenza di cinesi e coreani, devono fare un campionario ogni quindici giorni”. Ma da tutto questo, dice Sorci, il presidente Ceriscioli si è tenuto molto lontano e il malumore avanza. 

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D’altronde il contesto socio-economico è una delle chiavi di lettura per capire cosa potrebbe succedere il 20 e 21 settembre. I rapporti della Banca d’Italia sulle economie regionali sono preziosi. Quello sulle Marche è di luglio e come in altri casi tiene conto delle conseguenze del Covid-19: “La pandemia di Covid-19, diffusasi in Italia dal febbraio 2020, ha colpito l’economia marchigiana quando era già in corso un rallentamento dell’attività. Secondo le stime di Prometeia, nel 2019 il PIL regionale, dopo un biennio di crescita, è risultato stazionario (in lieve incremento in Italia)”. Nell’industria la produzione è leggermente scesa, “interrompendo una moderata fase espansiva in atto da un quinquennio; risultati peggiori sono stati ancora riportati dal comparto calzaturiero. L’indebolimento congiunturale e l’incertezza delle aspettative hanno negativamente condizionato l’accumulazione di capitale, frenando i nuovi investimenti. Al presentarsi dell’emergenza sanitaria era in crescita il settore delle costruzioni; l’accelerazione della ricostruzione post-sisma, ancora nella fase iniziale, fornirebbe un significativo impulso allo sviluppo del prodotto regionale”. Nel 2019 il settore dei servizi ha nel complesso ristagnato, “registrando però una ripresa dei flussi turistici. La redditività e la liquidità delle imprese si sono mantenute su buoni livelli nel confronto storico e, assieme alla minore propensione a investire, hanno contenuto la domanda di credito delle imprese”. Nel complesso, scrivono ancora gli autori del rapporto, “i prestiti bancari all’economia regionale sono lievemente diminuiti: il calo del credito alle imprese è stato solo in parte compensato dalla crescita dei prestiti alle famiglie. La qualità del credito è ulteriormente migliorata. Nel 2019 si è interrotta la fase espansiva dell’occupazione, risultata in lieve flessione in media d’anno. Nel settore privato vi è stata una stabilizzazione dei rapporti di lavoro dipendente, soprattutto per effetto delle numerose trasformazioni di contratti a termine in posizioni permanenti. In presenza di un’accresciuta partecipazione al mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione è tornato a salire, restando però inferiore alla media italiana”.

     

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Un tempo qua era tutta campagna. E sulla retorica della nostalgia, osserva ancora Lorenzo Castellani, il centrodestra ha costruito una narrazione efficiente e funzionale. “Negli anni 80-90 queste erano isole felici. Dopodiché negli anni 2000 sono iniziate le delocalizzazioni, con il passaggio delle aziende in mani straniere, il taglio del personale e la riduzione della produzione. Il passaggio è stato sentito dalla popolazione. Le Marche sono passate da essere una regione poverissima nel secondo dopo guerra a equivalente della Toscana negli anni Novanta. Adesso invece prendiamo solo legnate”. Le grande industria ha lasciato il campo alla piccola industria, con un grave impoverimento dal punto di vista socio-economico: “Le Marche sono cresciute tantissimo negli anni Sessanta, fino agli anni Novanta”, poi quel ciclo s’è interrotto e, osserva Castellani, dal punto di vista di psicologia politica la botta per il centrosinistra è stata grossa: “Il Pd è diventato il capro espiatorio prima dell’ascesa dei grillini, nel 2018, e poi della destra”. Ma il crollo vero secondo Castellani c’è stato a partire dal referendum del 2016, che è stato presentato anche nelle Marche come un voto anti politico anti-Pd, “cresciuto al tal punto che il Pd non ha saputo più fronteggiare l’onda montante. Se poi ci mettiamo il coronavirus, l’immigrazione e la crisi economica, il mix di fattori è tale da creare la tempesta perfetta per la vittoria di centrodestra”. Insomma, osserva Castellani: “Un sistema è crollato. È il sistema della Dc di sinistra alla Enrico Mattei. L’idea, simile all’Emilia-Romagna, di un socialismo diffuso che però tutto sommato produce ricchezza e benessere per tutti è finito”.

    

Le questioni aperte sono molte, osserva ancora l’ex sindaco Sorci. “Le infrastrutture non vanno avanti, stanno ancora litigando per completare il Quadrilatero Marche Umbria con il collegamento Ancona-Perugia. Avevano garantito l’apertura ad aprile 2020 ma in questi anni sono fallite tre imprese e siamo ancora al carissimo babbo. Adesso c’è una nuova ditta che sta portando avanti i lavori molto lentamente”. C’è poi la questione politica, quella delle alleanze. Il Pd non è riuscito a fare l’accordo con i Cinque stelle, in una regione molto generosa con i grillini. Nel 2018 persino Andrea Cecconi, fresco d’espulsione dal M5s, sconfisse  Marco Minniti che nella gara per uno scranno alla Camera arrivò solo terzo. “A Roma non sono riusciti a imporre l’alleanza”, dice Sorci. “La segreteria del Pd non guarda le Marche con grande attenzione. Io gliel’ho pure detto: qui date tutti per perse le elezioni. Per tanti anni ho fatto il segretario di un ministro, Francesco Merloni, e so come si fanno le campagne elettorali. Ora io capisco che siano finiti i soldi e il Pd è alla canna del gas, qui però non c’è effervescenza”. Di là invece di effervescenza ce n’è pure troppa. Anche perché Meloni ha l’opportunità di vincere sia nelle Marche sia in Puglia: “C’è un difetto di strategia da parte del centrosinistra. I precedenti presidenti, come Vito D’Ambrosio e Gian Mario Spacca, avevano delle prospettive e un sogno. Oggi tutto questo non lo vedo. Non c’è la trasmissione di un progetto”, dice l’ex sindaco. E da Roma, aggiunge Sorci, non arrivano aiuti: “Di tutte le cose migliori che il governo sta facendo ne parlano i grillini. Il Pd viene lasciato a discutere di emigrazioni”. Ma nelle Marche c’è un problema di immigrazione? “Questa è una regione fortemente integrata, fino a 2-3 anni fa c’era lavoro per tutti. A Fabriano nel 2011-2012, il 12 per cento della popolazione era straniera ed era costituita da 72 nazionalità. C’era lavoro. Oggi gli stranieri sono quasi scomparsi, sono andati in Polonia, in Belgio, in Francia. Insomma, non c’è questa forte tensione”. Poi certo, aggiunge lo stesso Sorci, non bisogna dimenticare la sparatoria di Macerata del 2018 o le vicende dell’Hotel house di Porti Recanati. Ci sono tendenze di destra marcate, come ad Ascoli e Macerata, dove la Dc di destra era molto forte. Tuttavia “nelle Marche le elezioni si decidono nella provincia di Ancona e di Pesaro. Ma allo stato attuale la campagna elettorale non decolla. Anche a causa del Covid, si fa tutto online. Ma la popolazione marchigiana è anziana, non tutti sono sui social”. 

    

Casoli, presidente di Elica, è convinto che questo “non sarà un voto di protesta, ma di prova: vediamo se riusciamo a uscire da questa spirale”. Quale spirale? “Negli ultimi anni abbiamo sofferto più del normale. Fare economia nelle Marche è diventato complicato. Le grandi traiettorie non toccano la regione, siamo scollegati dal sistema logistico infrastrutturale nazionale. E adesso lo sentiamo sulle nostre spalle”. C’è dunque un problema di trasporti, di infrastrutture, ma non solo, dice Casoli. C’è anche un problema di sanità: “Sono state fatte scelte di centralizzazione, per esempio a Fabriano siamo stati depauperati dell’ospedale”. Per non parlare poi della gestione del post-sisma, che non è stata all’altezza, dice Casoli: “Non c’è stata la forza politica di farlo diventare un problema nazionale. Oggi sembriamo dimenticati. La Regione non è stata in grado di fare la voce forte per chiedere soldi e leggi speciali”. 

    

Insomma, se la Toscana è contendibile, le Marche sono già contese e hanno un valore politico extra regionale, come dice il sindaco Ricci: “Le Marche possono diventare determinanti rispetto a un’analisi nazionale delle regionali. Se vinceremo le regioni che vinceremo il merito sarà dei candidati e del Pd che con coerenza si è schierato e ha costruito alleanze a sostegno dei candidati. Laddove invece non riusciremo a vincere e perderemo sapremo di chi è la responsabilità: di coloro che non hanno lavorato per unire ma per dividere e di coloro che non ci stanno mettendo la faccia in campagna elettorale stando a guardare”. Il capro espiatorio del Pd è insomma già pronto: se il centrosinistra perderà le Marche sarà colpa dei grillini alleati a Roma.

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