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Il Sì al referendum primo passo per una nuova stagione di riforme

Dario Nardella

Per Dario Nardella non è un’operazione populista di facciata, ma un’occasione perché la politica possa fare meglio il lavoro che le compete

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Al direttore - Condivido volentieri col Foglio alcune riflessioni sul referendum relativo al taglio del numero dei parlamentari, sul quale saremo chiamati al voto a settembre. Se ne parla ancora poco e mi piacerebbe sollecitare un dibattito ampio su questo tema.

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Al direttore - Condivido volentieri col Foglio alcune riflessioni sul referendum relativo al taglio del numero dei parlamentari, sul quale saremo chiamati al voto a settembre. Se ne parla ancora poco e mi piacerebbe sollecitare un dibattito ampio su questo tema.

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Lo dico subito: ho maturato la decisione, non senza difficoltà, di votare Sì, per diverse ragioni che proverò a elencare.

 

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La prima perché mi reputo un riformista e un riformista non può mai vedere una riforma con pregiudizio negativo, soprattutto se questa proposta è stata spesso avanzata con diverse modalità in passato dalla sinistra. Certo non si tratta della migliore riforma possibile per vari aspetti, a partire dall’assenza di un ripensamento complessivo della forma di governo e del superamento del bicameralismo perfetto che oggi stridono con un necessario snellimento dell’iter parlamentare. Ma il vero senso dell’essere riformista è proprio quello di cercare la migliore riforma possibile e non la migliore riforma in assoluto. Ricordiamo che nel recente passato abbiamo provato a fare una revisione costituzionale più ampia, che io ho sostenuto convintamente, ma come noto è stata bocciata nel referendum. Gli oppositori di allora dicevano che una riforma totale era sbagliata e andava fatta a piccoli passi; gli oppositori di oggi dicono che una singola modifica della composizione delle Camere non basta, ma va fatta una grande riforma organica. Con ragionamenti di questo tipo non arriveremo da nessuna parte. La riduzione del numero dei parlamentari inoltre non pregiudica affatto, ma semmai favorisce, ulteriori riforme come quelle del bicameralismo. La Costituzione non esclude infatti questo modo di procedere.

  

E a proposito di Costituzione: la nostra Carta è un corpo vivo, non un feticcio intoccabile e inerte. Il costituente Piero Calamandrei scrisse che “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile”. Questo combustibile è sia la capacità del Parlamento di attuare la Costituzione in tutte le sue parti, sia quella di modificarla e quindi adeguarla alle nuove esigenze della società e della democrazia. L’atteggiamento di chi continua a ritenere la Costituzione intoccabile non ha niente a che vedere con lo spirito costituente che aveva definito un modello molto efficace di pesi e contrappesi con un meccanismo di revisione costituzionale basato sul doppio passaggio, quello necessario del Parlamento e quello eventuale del referendum (articoli 138 e 139 della Costituzione).

  

A chi contesta che si riduce la rappresentanza territoriale in collegi elettorali grandi riducendo il numero degli eletti, rispondo che in tutti i più importanti paesi del mondo, dagli Usa al Giappone alla Germania, il rapporto tra eletti ed elettori è di gran lunga superiore all’Italia. Se vincerà il Sì, inoltre, non si potrà eludere il problema di una legge elettorale più focalizzata sulla effettiva rappresentanza territoriale e sulla possibilità dell’elettorato di scegliere non solo il partito ma anche il parlamentare. Per me quindi questa riforma apre la strada a sistemi elettorali proporzionali con preferenza o con base maggioritaria su collegi uninominali dove anche in questo caso la qualità e popolarità del candidato incide almeno tanto quanto l’attrattività del partito. Dopo questa riforma sarà molto più difficile, a mio avviso e per fortuna, varare una nuova legge elettorale proporzionale a liste bloccate dove i candidati e l’ordine di elezione non vengono decisi dagli elettori ma esclusivamente dalle segreterie dei partiti. Il funzionamento della democrazia parlamentare si deve basare non solo sulla quantità della rappresentanza politica ma soprattutto sulla qualità, e quest’ultima non si garantisce solo con il numero di eletti ma soprattutto con il funzionamento delle istituzioni e con un buon sistema elettorale. Tocca alle forze politiche e al sistema istituzionale puntare con convinzione sulla formazione e la selezione della classe dirigente. Infatti, rischia di produrre molti più danni una legge elettorale che priva il corpo elettorale della possibilità di scegliere chi lo rappresenta in Parlamento (come il Porcellum). La grandezza dei collegi non può essere di per sé un criterio di qualità: per esempio il sistema italiano per le elezioni europee prevede cinque macro-collegi, ma le preferenze permettono di legare il parlamentare europeo agli elettori nonostante l’estensione del territorio, quando invece molti membri dell’attuale Parlamento non hanno niente a che vedere con i collegi dove sono stati eletti.

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Se il referendum avrà esito positivo, le Camere dovranno necessariamente e spero in tempi brevi rivedere la legge elettorale e i regolamenti parlamentari: anche questa sarebbe una straordinaria occasione per rendere il Parlamento un organo più efficiente, più incisivo e più rappresentativo della volontà popolare. Nessuno vieta inoltre di prevedere un’eventuale riforma del sistema di elezione del presidente della Repubblica, qualora si ritenesse che i delegati regionali con il taglio dovessero assumere un peso eccessivo.

  

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Infine c’è un ultimo punto, più politico, che riguarda la differenza tra riformisti e populisti. Questo referendum può essere visto in due modi diversi, slegato da calcoli o partiti politici: da un lato, una semplice operazione populista di facciata con la riduzione dei costi della politica, argomento che solletica i bassi istinti di chi ritiene il mondo politico una accozzaglia di corrotti e incapaci che vanno solo puniti e privati di poteri; dall’altro, l’occasione di una riorganizzazione del sistema della rappresentanza parlamentare e del funzionamento delle assemblee democratiche, perché la politica faccia meglio il lavoro che le compete e gli eletti rispondano davvero alla volontà degli elettori. Io scelgo il secondo modo, e per questo, alla fine, voterò per il Sì, guardando a questo referendum come a un primo passo di una nuova stagione di riforme utili al paese.

 

Dario Nardella, Sindaco di Firenze, Pd

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