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editoriali

Il referendum di Repubblica

Redazione

Molinari si schiera per il No. Ma non riformare ha aiutato il populismo

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Per i piccoli giornali d’opinione schierarsi è la stessa ragion d’essere. Per i grandi giornali, che devono avere una visione più panoramica dei lettori, è meno scontato e meno necessario. E anche un poco più rischioso: l’endorsement firmato nel 1996 da Paolo Mieli a favore di Romano Prodi sulla prima pagina del Corriere della Sera resta un raro esempio, non fortunatissimo. All’estero è più frequente. Ma giovedì il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, che del resto è nutrito di giornalismo internazionale, ha schierato il suo giornale sulla posizione “Votare No al referendum - Le ragioni di una scelta”. La sua critica centrale: il taglio dei parlamentari “è lineare, a sé stante” e non “consente di sfruttare la riduzione per rendere il Parlamento più efficiente e rappresentativo”. Inoltre in mancanza di una cornice di riforma costituzionale, argomenta Molinari, si creano disfunzioni nel lavoro delle Camere, e l’allargamento dei collegi ne crea altre nel rapporto e tra eletti ed elettori. Un indebolimento del Parlamento che fa il gioco delle forze populiste. Non una uscita occasionale, ieri Repubblica rafforzava la campagna segnalando le iniziative del Comitato nazionale del No, le firme di costituzionalisti, un editoriale per il No di Luciano Violante e persino, si parva licet, una intervista a Mattia Santori.

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Per i piccoli giornali d’opinione schierarsi è la stessa ragion d’essere. Per i grandi giornali, che devono avere una visione più panoramica dei lettori, è meno scontato e meno necessario. E anche un poco più rischioso: l’endorsement firmato nel 1996 da Paolo Mieli a favore di Romano Prodi sulla prima pagina del Corriere della Sera resta un raro esempio, non fortunatissimo. All’estero è più frequente. Ma giovedì il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, che del resto è nutrito di giornalismo internazionale, ha schierato il suo giornale sulla posizione “Votare No al referendum - Le ragioni di una scelta”. La sua critica centrale: il taglio dei parlamentari “è lineare, a sé stante” e non “consente di sfruttare la riduzione per rendere il Parlamento più efficiente e rappresentativo”. Inoltre in mancanza di una cornice di riforma costituzionale, argomenta Molinari, si creano disfunzioni nel lavoro delle Camere, e l’allargamento dei collegi ne crea altre nel rapporto e tra eletti ed elettori. Un indebolimento del Parlamento che fa il gioco delle forze populiste. Non una uscita occasionale, ieri Repubblica rafforzava la campagna segnalando le iniziative del Comitato nazionale del No, le firme di costituzionalisti, un editoriale per il No di Luciano Violante e persino, si parva licet, una intervista a Mattia Santori.

 

Bene, Repubblica è del resto un grande giornale, ma d’opinione. L’aspetto negativo è che questa posizione per il No finisca alla lunga per ricalcare le stesse posizioni del No al referendum del 2016, e di altri no, tutti figli della retorica della “Costituzione più bella del mondo”. Oggi, anche con buone ragioni, Molinari inquadra la sua scelta in un’ottica di contrasto al populismo. C’è solo da notare che il successo crescente del populismo anti istituzionale è cresciuto negli anni, e culminato nel 2018 come esito del tracollo del progetto renziano, anche a causa di un immobilismo verso qualsivoglia modernizzazione delle istituzioni e della politica, strenuamente sostenuto dal conservatorismo dei no di tanti politici, professori e costituzionalisti appartenenti al mondo politico e culturale di Repubblica. Il no alle riforme ha sempre favorito, alla lunga, il montare del populismo.

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