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La rabbia dei panchinari M5s e Pd che sognano il rimpasto per entrare nel Governo

Salvatore Merlo

Pinotti, Delrio e Orlando vogliono tornare a fare i ministri e i grillini Buffagni, Cancelleri e Castelli ora vogliono la prima fila. Così hanno una parola buona per tutti: Patuanelli? “Mollusco”, Azzolina? “Tragedia”, Fraccaro? “Fantasma”, D’Incà? “Piddino”

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Il Pd ha tenuto fuori i suoi ex ministri, Delrio, Pinotti, Orlando che ora vogliono entrare, visto che il governo dura. E il M5s ha tenuto fuori le sue seconde file, Buffagni, Castelli, Cancelleri, i sottosegretari che ora ovviamente vogliono raggiungere anche loro la prima fila. E così tutti insieme, adesso, questi uomini e queste donne così diversi tra loro, compongono una specie di gruppo di spinta, come nella meccanica idraulica, in pratica sono i tallonatori, come nel rugby, vogliono un ministero come quelli invece cercano di acchiappare la palla ovale sul campo verde. E dunque al telefono, sotto l’ombrellone o a bordo piscina, maneggiano senza cautele la parola “rimpasto”, che scintilla ai loro occhi come una promessa di felicità, al punto da aver dato origine, sulle pagine dei quotidiani assetati d’una crisi senza crisi, all’unico vero tormentone estivo in mancanza di balli di gruppo e di hit musicali di rilievo che scandiscano le giornate monotone sulla spiaggia.

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Il Pd ha tenuto fuori i suoi ex ministri, Delrio, Pinotti, Orlando che ora vogliono entrare, visto che il governo dura. E il M5s ha tenuto fuori le sue seconde file, Buffagni, Castelli, Cancelleri, i sottosegretari che ora ovviamente vogliono raggiungere anche loro la prima fila. E così tutti insieme, adesso, questi uomini e queste donne così diversi tra loro, compongono una specie di gruppo di spinta, come nella meccanica idraulica, in pratica sono i tallonatori, come nel rugby, vogliono un ministero come quelli invece cercano di acchiappare la palla ovale sul campo verde. E dunque al telefono, sotto l’ombrellone o a bordo piscina, maneggiano senza cautele la parola “rimpasto”, che scintilla ai loro occhi come una promessa di felicità, al punto da aver dato origine, sulle pagine dei quotidiani assetati d’una crisi senza crisi, all’unico vero tormentone estivo in mancanza di balli di gruppo e di hit musicali di rilievo che scandiscano le giornate monotone sulla spiaggia.

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La rimpastite o se vogliamo il ballo del rimpastone, appunto, allegra ginnastica danzante – tipo Gioca jouer o Macarena – attività d’intrattenimento ludico in questo placido agosto percorso da una svogliatezza blasé, dal classico languore di lago o di lungomare, senza nemmeno un Papeete tra l’oleandro e il baobab, e addirittura con lo spread addormentato ai minimi da febbraio (154 punti). Non succede nulla. E insomma meno male che, assieme ai reprobi del bonus Inps, ci sono anche loro, i rimpastatori, altrimenti sai che noia. L’altra sera, per dire, a cena, Graziano Delrio si abbandonava a un parallelo storico di questo tipo: “Dovremmo passare dal governo Goria al governo De Mita”, diceva l’ex ministro e attuale capogruppo del Pd, cioè dovremmo passare dal governo di un premier che Forattini disegnava lasciando una barba anonima su un profilo vuoto, a un governo disegnato su un profilo solido, concreto, insomma non certo quello di Giuseppe Conte, visto che, come ripete spesso anche Carlo Calenda, “nei momenti difficili bisogna far governare i migliori” (che poi, ovviamente, il più delle volte coincidono – i migliori – proprio con chi pratica questo genere di auspici, in quanto, come avrebbe detto il marchese del Grillo: “Il migliore sono io e voi non siete un cazzo”). E a proposito di marchese del Grillo, è proprio quello che più o meno dicono anche i rimpastatori (o rimpastisti?) del M5s, cioè Buffagni, Castelli e Cancelleri, anche se non si sa bene quali capacità speciali i tre possano vantare rispetto agli attuali ministri del M5s (titolo di studio di Cancelleri: il battesimo).

   

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Periodi brevi, aizzati dall’invidia, vengono mandati avanti privi di riferimenti come cavalli selvaggi: in sella al verbo, nessun soggetto. E infatti, come all’incirca Pinotti, Delrio e Orlando descrivono la delegazione del Pd al governo alla stregua di una banda di raccattati abbastanza scarsi (ce l’hanno soprattutto con Paola De Micheli, “s’è fatta mettere i piedi in testa dai grillini su Autostrade”, ma in generale non risparmiano nessuno, nemmeno Luciana Lamorgese) così i tre sottosegretari grillini hanno un nomignolo per ogni loro collega di partito che in questo momento si trova alla guida di un ministero. Patuanelli? “Mollusco”. D’Incà? “Piddino”. Fraccaro? “Fantasma”. Azzolina? “Tragedia”. Catalfo? “Il Nulla”. Di Maio? “L’unico che ci capisce qualcosa”. Ecco.

    

Tra Largo Chigi e Montecitorio, come in nessun altro luogo d’ibernazione sanno tenere calda la scena con quattro stecchi, un po’ di lustrini, una trombetta e qualche nuvola di fumo colorato, perché l’idea di un rimpasto orchestrato d’estate e fondato su malumori rivendicativi non l’avrebbe potuta partorire nemmeno il più ottenebrato dei Matteo Salvini, quello che pure si era gioiosamente (e fiduciosamente) eiettato dalla finestra del Viminale aprendo una crisi di governo in pieno agosto. Tuttavia il tormentone dell’estate, il ballo del rimpastone, potrebbe anche diventare realtà in autunno, ma dipenderà dall’esito delle elezioni regionali, dai calcoli di vantaggio di Zingaretti, dalle orbite esistenziali di Di Maio e di Grillo, non certo dalle mosse ancheggianti dei danzatori estivi. Per loro, l’orizzonte di un ministero è un lieto miraggio, un modo per rimanere sereni rifugiandosi nelle astrazioni, ragione per la quale, più concretamente, Pinotti, non potendo ritornare alla Difesa dove c’è Lorenzo Guerini, ha fatto di tutto per diventare, intanto, presidente della commissione Difesa del Senato. E poi vai col mambo dei panchinari.

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