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Editoriali

Il Papeete degli anti euro

Redazione

Meno Borghi, più Marattin. Discontinuità non male dalle nuove commissioni

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Claudio Borghi, indimenticabile autore del manuale per leghisti sovranisti “Basta Euro”, si prende il secondo “Basta Borghi” in breve tempo. Ieri ha finito in anticipo la sua carriera di presidente della commissione Bilancio della camera, il 30 maggio era stato sostituito alla guida del dipartimento economia leghista dal suo mentore e ancora più crudelmente anti-europeo Alberto Bagnai. Basta Borghi, quindi, e, per il cambio della guardia in commissione, neanche l’onore cavalleresco di essere sostituito da un lottatore televisivo, da un guerriero di talk show quale lui è. Onta suprema, invece, gli subentra lo stimato Fabio Melilli, già presidente della provincia di Rieti e segretario del Pd laziale per 4 anni fino al 2018. Politico puro, che mai si è sognato di mettere in discussione l’euro o l’Europa e mai avrebbe accettato i minibot borghiani in cambio di un’auto usata. Insomma, una nemesi e spoetizzante. E probabilmente il ritorno della commissione Bilancio della camera alla sua funzione politica di luogo delle mediazioni, dove passano tutti i provvedimenti di spesa, e di controparte attiva e non pregiudizialmente ostativa del governo. Forse Borghi avrebbe preferito soccombere a un altro neo-presidente di commissione e di area economica, a Luigi Marattin, di Italia Viva, col quale tante volte aveva incrociato polemiche e scrollamenti di testa televisivi. Ma, per scherno del due volte retrocesso Borghi, Marattin è andato a guidare la commissione Finanze. Dove potrà esercitare iniziativa e peso politico in direzione della riforma fiscale, questione urgente sul tavolo della maggioranza. Il “Basta Euro” programmatico arriva al capolinea, malinconicamente. Borghi resterà personaggio televisivo, adesso ha anche più tempo libero. Sarà ancora più pugnace in Tv, a rappresentare però non le idee che ritiene di avere copiose e interessanti ma l’insulsaggine del leghismo sovranismo, a raccontare sé stesso, la sua doppia retrocessione, il fallimento di un progetto al quale, sua piccola soddisfazione, resta impigliato anche Matteo Salvini. 

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Claudio Borghi, indimenticabile autore del manuale per leghisti sovranisti “Basta Euro”, si prende il secondo “Basta Borghi” in breve tempo. Ieri ha finito in anticipo la sua carriera di presidente della commissione Bilancio della camera, il 30 maggio era stato sostituito alla guida del dipartimento economia leghista dal suo mentore e ancora più crudelmente anti-europeo Alberto Bagnai. Basta Borghi, quindi, e, per il cambio della guardia in commissione, neanche l’onore cavalleresco di essere sostituito da un lottatore televisivo, da un guerriero di talk show quale lui è. Onta suprema, invece, gli subentra lo stimato Fabio Melilli, già presidente della provincia di Rieti e segretario del Pd laziale per 4 anni fino al 2018. Politico puro, che mai si è sognato di mettere in discussione l’euro o l’Europa e mai avrebbe accettato i minibot borghiani in cambio di un’auto usata. Insomma, una nemesi e spoetizzante. E probabilmente il ritorno della commissione Bilancio della camera alla sua funzione politica di luogo delle mediazioni, dove passano tutti i provvedimenti di spesa, e di controparte attiva e non pregiudizialmente ostativa del governo. Forse Borghi avrebbe preferito soccombere a un altro neo-presidente di commissione e di area economica, a Luigi Marattin, di Italia Viva, col quale tante volte aveva incrociato polemiche e scrollamenti di testa televisivi. Ma, per scherno del due volte retrocesso Borghi, Marattin è andato a guidare la commissione Finanze. Dove potrà esercitare iniziativa e peso politico in direzione della riforma fiscale, questione urgente sul tavolo della maggioranza. Il “Basta Euro” programmatico arriva al capolinea, malinconicamente. Borghi resterà personaggio televisivo, adesso ha anche più tempo libero. Sarà ancora più pugnace in Tv, a rappresentare però non le idee che ritiene di avere copiose e interessanti ma l’insulsaggine del leghismo sovranismo, a raccontare sé stesso, la sua doppia retrocessione, il fallimento di un progetto al quale, sua piccola soddisfazione, resta impigliato anche Matteo Salvini. 

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