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Il Cav. in trasparenza

Salvatore Merlo

Silvio Berlusconi è l'assente incombente, l'unico che non parla ma si sente parlare. Pure Conte adesso lo corteggia

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Roma. Poteva scegliere la soluzione Francisco Franco, sparire del tutto e lasciar governare la corte avvolgendosi nel più muto mistero, ma ha invece scelto la soluzione Leonida Breznev: Silvio Berlusconi c’è e non c’è, appare in silhouette come Alfred Hitchock nei suoi film, qualche immagine in posa immobile dietro a una scrivania su sfondo bianco, quasi un’ombra dietro una tenda. E insomma, per dirla tutta, più che apparire il Cavaliere ormai traspare, attraverso interviste corrette via email dalla lontana Provenza (e chissà se rilasciate davvero da lui o dai segretari), qualche rara telefonata, dichiarazioni protocollari alle agenzie, scarni umori fatti filtrare dai suoi castellani che non si sa più quanto siano comandati o comandanti, attori o agiti. Eppure mai come adesso, dopo anni non facili, l’uomo che traspare è diventato solido e ubiquo, l’assente incombente, onnipresente nelle conversazioni tra leghisti e democratici, grillini e fratelli d’Italia, renziani e contiani. Tutti dicono: “Silvio i love you”.

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Roma. Poteva scegliere la soluzione Francisco Franco, sparire del tutto e lasciar governare la corte avvolgendosi nel più muto mistero, ma ha invece scelto la soluzione Leonida Breznev: Silvio Berlusconi c’è e non c’è, appare in silhouette come Alfred Hitchock nei suoi film, qualche immagine in posa immobile dietro a una scrivania su sfondo bianco, quasi un’ombra dietro una tenda. E insomma, per dirla tutta, più che apparire il Cavaliere ormai traspare, attraverso interviste corrette via email dalla lontana Provenza (e chissà se rilasciate davvero da lui o dai segretari), qualche rara telefonata, dichiarazioni protocollari alle agenzie, scarni umori fatti filtrare dai suoi castellani che non si sa più quanto siano comandati o comandanti, attori o agiti. Eppure mai come adesso, dopo anni non facili, l’uomo che traspare è diventato solido e ubiquo, l’assente incombente, onnipresente nelle conversazioni tra leghisti e democratici, grillini e fratelli d’Italia, renziani e contiani. Tutti dicono: “Silvio i love you”.

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Una strana, forse inaspettata centralità riconquistata (pur nella non presenza che – attenzione – non è ancora assenza). Ciascuno vuole un pezzo del Cav. e tutti cercano Forza Italia, persino i gran quirinabili come Romano Prodi o i vecchi nemici che si fanno carezzevoli come Carlo De Benedetti. C’è dunque la sinistra che vagheggia nuove improbabili maggioranze, con il Pd che si profonde e si diffonde in inviti acrobatici che coinvolgono un giorno sì e l’altro pure il capogruppo Andrea Marcucci e persino ex segretari e cigiellini, quelli che insomma furono severi col Caimano, come Guglielmo Epifani: “Forza Italia è un partito liberal democratico”, “Berlusconi è cambiato”.

  

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Pure Giuseppe Conte cerca i voti azzurri in Senato per il pericoloso scostamento di bilancio di domani e dunque, dalla vetta di Palazzo Chigi, ben sapendo che anche sul trono si consumano i pantaloni, spinge il proprio timore e la propria ambizione al punto da far offrire a Renato Brunetta niente meno che la presidenza di una commissione bicamerale su recovery fund. Sicché Barbara Lezzi, detta occhio di falco, una grillina alla quale evidentemente non la si fa, s’accorge che qualcosa non torna: “Si darebbe a Berlusconi un potere che non ha mai avuto prima”. Esagerazioni, certo, ma che preoccupano Matteo Salvini quando sfoglia i sondaggi, mentre anche il renziano Ettore Rosato gira l’Italia, e in ogni cantuccio oscuro della più oscura provincia della penisola stana pure lui un berlusconiano da abbracciare, un consigliere comunale di Forza Italia col quale farsi una fotografia da postare su Twitter: “Un benvenuto ai nuovi amici di Cusano Mutri, Montesarchio e Zungoli…”.

 

E si capisce allora che nell’assente presenza del Cavaliere e del suo partito c’è forse il paradosso che meglio descrive questi tempi in cui la neopolitica si è fatta definitivamente spettacolo social, tempi talmente occupati dal pachiderma dell’abnorme e dall’urlo teleinvasato che addirittura capita di dover tacere per essere ascoltati o di dover quasi sparire per essere visti.

 

Rimane esemplare a questo proposito la copertina di un vecchio libro di Marco Belpoliti, “Il corpo del capo”, in cui Berlusconi è smontato – la testa da una parte, le mani dall’altra, il naso che vaga, le gambe per conto loro: come se fosse disposto su un tavolo anatomico. A quei tempi si studiava la sua presenza, il suo fisico, oggi al contrario andrebbe indagato il mistero della sua sua incorporeità, il segreto d’una trasparenza che assume però forme assai concrete.

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