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Reality municipale

Michele Masneri

La comunicazione peculiare del dopo-Covid di Virginia Raggi. Buche da riempire, marciapiedi da asfaltare, panchine da aggiustare: così le micro realtà di Roma conquistano lo spazio mediatico lasciato vuoto dalla sindaca

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Non si sa se la Raggi andrà a fare il viceministro o altro, dopo le imprese romane: di sicuro il suo mandato verrà ricordato (forse anche nella manualistica di settore) per la comunicazione peculiare del dopo-Covid. Lo si è già scritto tante volte: al contrario del suo omologo Beppe Sala, a un certo punto, la sindaca di Roma è scomparsa, evaporata, lasciando parlare sui social la città. Anzi non proprio la città, nella sua grandezza e interezza, bensì piccolissime particelle di essa: tombini, buche, panchine, alberi. Una per una, le micro realtà della capitale hanno conquistato così lo spazio mediatico lasciato vuoto dalla sindaca, in un reimpossessamento romantico della scena, tipo quei quadri settecenteschi di rovine che celebravano l’agro romano.

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Non si sa se la Raggi andrà a fare il viceministro o altro, dopo le imprese romane: di sicuro il suo mandato verrà ricordato (forse anche nella manualistica di settore) per la comunicazione peculiare del dopo-Covid. Lo si è già scritto tante volte: al contrario del suo omologo Beppe Sala, a un certo punto, la sindaca di Roma è scomparsa, evaporata, lasciando parlare sui social la città. Anzi non proprio la città, nella sua grandezza e interezza, bensì piccolissime particelle di essa: tombini, buche, panchine, alberi. Una per una, le micro realtà della capitale hanno conquistato così lo spazio mediatico lasciato vuoto dalla sindaca, in un reimpossessamento romantico della scena, tipo quei quadri settecenteschi di rovine che celebravano l’agro romano.

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Se Sala, più influencer che sindaco, riusciva a mettere sempre in mezzo il suo faccione (pure issandosi sul Duomo al passaggio delle Frecce Tricolori), generando nelle masse un effetto-rifiuto alla Renzi, col Covid la Raggi lascia parlare le buche da riempire, i marciapiedi da asfaltare, le panchine da aggiustare (addirittura, assicella per assicella). Tutto è positivo, tutto è amorevole, con una retorica simmetrica a quella delle grandi opere: sono micro opere, è un rammendo, per dirlo alla Renzo Piano. O un rattoppo, ancora meglio.

    

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Dove altri sindaci di altri capitali annunciano trionfali ponti, autostrade, grattacieli, la Raggi ha umarellizzato la comunicazione della città. Ecco qui per esempio un tweet su certe strisce pedonali realizzate davanti a una scuola.

 

  

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Le prime volte, si proverà un effetto-straniamento. I maligni penseranno: ma è normale manutenzione, stanno facendo le strisce davanti a una scuola. No, bisogna considerare innanzitutto che la comunicazione umarellica della Raggi punta sul contrasto tra la micro opera e il macro-linguaggio, che è invece sempre enfatico. Per queste strisce pedonali è chiaro infatti che “sperimentazione” già suona bene, “attraversamenti pedonali” è meglio di strisce, e “scuola primaria” è meglio di elementari. Raggi ha chiaramente imparato anche la lezione della temperie alimentare di questi anni: dove gli spaghetti alla carbonara diventano (soprattutto nelle bettole imitative di ristoranti stellati) “il nostro spaghetto numero 7 con la sua carbonara all’uovo di gallina felice bio allevata a terra”. L’articolo determinativo-nobilitante (“La sperimentazione”) insieme al “nuovo” che come insegnano nel marketing funziona sempre nelle promozioni, fa il resto.

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Qui, invece, un altro esempio di comunicazione raggesca. Si vede una strada di notte, appena asfaltata (male, si vedono dei difetti al centro della carreggiata, peraltro), con delle strisce appena fatte. E’ il neorealismo raggesco, rispetto al Beppe Sala dei telefoni bianchi; nel reality municipale di Roma, ci sono solo esterni, la natura è padrona, al contrario di quello milanese che celebra uffici, interiors, magliette e spritz. La Raggi inquadra e fa parlare le strade, i parchi, i marciapiedi. La didascalia ricorre all’immancabile hashtag o cancelletto, e “riqualificare”, termine urbanistico diventato poi comune, suona meglio di “rifare”.

  

Così l’immagine neorealista si accompagna a questa neolingua barocchetta, che strizza l’occhio anzi l’orecchio ai cliché più di moda del giornalismo (“oggi vi spiego”; “ho scritto un post lungo su”), ma ha radici profonde anche nel neobarocco ferroviario, quello che si sente sugli annunci nei treni (“si prega di riporre gli effetti personali nelle bagagliere di vestibolo” per dire “mettete le vostre cose sulle mensole”; “cambiamento di orario” al posto di ritardo, eccetera. Sono variazioni su una lingua dell’irresponsabilità, perché se dico una cosa incomprensibile, che si riferisce ad oggetti che non esistono, ma suona bene, nessuno sarà veramente tenuto a rendere conto del messaggio e delle sue conseguenze.

 

  

La reiterazione delle immagini di lavori in corso dà dipendenza, crea un flusso ipnotico in un cantiere infinito cui stare affacciati tutto il giorno. E’ il reality stradale, la temptation island dell’Anas. Tra betoniere fumanti e muletti che sfrecciano, ecco un bellissimo marciapiede proprio nel momento in cui viene asfaltato. Solerti operai smuovono bitume. Qui da National Geographic siamo passati al fai da te, mancano solo le istruzioni, sembra un video del Brico (per asfaltare un marciapiede servono: numero dieci chili di bitume; una pala, eccetera).

  

Non si sa se ci sia una regia dietro questi lavori o siano piuttosto casuali o forse realizzati solo per essere postati sui social dalla Raggi, come in un’opera di land art molto moderna (ormai girando per Roma ci si imbatte in centinaia di strade appena asfaltate e istericamente manutenute anche di notte con fari illuminanti, con grande urgenza: ma dopo pochi metri i lavori si interrompono e finiscono. Strisce bianche e blu appena dipinte proseguono su sterpaglie o anche erba). Il reality del cantiere ininterrotto serve anche a inglobare e neutralizzare alcuni messaggi della Raggi più legati all’attualità nazionale, come quello ormai celebre del Modello Atac.

  

  

Chi non vorrebbe una, cento, mille compagnie pubbliche efficienti come la municipalizzata dei trasporti romani. Per fortuna, appunto, queste sparate più politiche vengono subito rimescolate dentro il romanzo municipale. A volte non ci sono neanche le ruspe, ma il reality della città funziona lo stesso:

 

 

Qui le immagini rubate, e il tono, sono da trasmissione americana, un po’ sgranate, da inseguimenti con l’elicottero alla OJ Simpson. Qualcuno – un cameraman del comune? – sta riprendendo dei facchini che buttano robaccia in strada. L’elettore-spettatore rimane col fiato sospeso. Che succederà ai trasgressori? Lo sapremo solo nella prossima puntata. Ma intanto, ecco a voi una panchina in pericolo.

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