PUBBLICITÁ

Nella testa del segretario

Cosa vuole dimostrare Zingaretti con l’accelerazione sulla legge elettorale

Valerio Valentini

Accusare Renzi di irresponsabilità. Aprire un nuovo dialogo col centrodestra. Provocare l'incidente per prendersi un ministero nel "governo dei migliori". I tre progetti del leader del Pd

PUBBLICITÁ

Roma. Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera, uno che di leggi elettorali se ne intende e di manovre parlamentari ne ha viste parecchie, allarga le braccia come chi tentenna di fronte alla richiesta di trovare un senso nell’apparente precipitare degli eventi: “Quello che è evidente è che si è voluta una certificazione del ribaltamento dell’accordo di maggioranza sul proporzionale raggiunto a gennaio dopo 5 mesi di confronti”, dice. Lessico da vecchio socialdemocratico, certo. Ma che a suo modo riesce a dare un ordine al caos. Perché quello che è appena successo, nell’ufficio di presidenza di quella commissione Affari costituzionali impantanatasi ormai da dieci giorni sul testo del Geramnicum (proporzionale con sbarramento al 5 per cento), è che il Pd ha deciso, con una mossa apparentemente scriteriata, di andare sotto.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera, uno che di leggi elettorali se ne intende e di manovre parlamentari ne ha viste parecchie, allarga le braccia come chi tentenna di fronte alla richiesta di trovare un senso nell’apparente precipitare degli eventi: “Quello che è evidente è che si è voluta una certificazione del ribaltamento dell’accordo di maggioranza sul proporzionale raggiunto a gennaio dopo 5 mesi di confronti”, dice. Lessico da vecchio socialdemocratico, certo. Ma che a suo modo riesce a dare un ordine al caos. Perché quello che è appena successo, nell’ufficio di presidenza di quella commissione Affari costituzionali impantanatasi ormai da dieci giorni sul testo del Geramnicum (proporzionale con sbarramento al 5 per cento), è che il Pd ha deciso, con una mossa apparentemente scriteriata, di andare sotto.

PUBBLICITÁ

 

I dem volevano un’accelerazione dei tempi, per arrivare a votare già lunedì in commissione, ostruzionismo delle opposizioni permettendo, per poi arrivare in Aula il 27 luglio. Ma i numeri non c’erano: Leu, M5s e Pd non bastano. E quindi tutto è stato rimesso al volere dei capigruppo, che hanno deciso di non decidere riconvocandosi per mercoledì prossimo e stilare un nuovo calendario. “Noi insisteremo sulla necessità di approvare in tempi rapidi la legge elettorale. Se, la prossima settimana, qualcuno confermerà che è venuto meno a un patto fondativo di questo governo, si produrrà un fatto politico di cui ognuno dovrà assumersi le conseguenze”, annuncia Enrico Borghi, tra i più combattivi nella pattuglia del Pd. “Noi insistiamo, certo, ma la verità è che qui nessuno capisce perché lo facciamo, e nessuno si degna neppure di spiegarcelo”, sbuffa invece, da giorni, Fausto Raciti, dem di rito orfiniano.

 

PUBBLICITÁ

Nessuno capisce, ma tutti s’interrogano sul perché Nicola Zingaretti abbia imposto questa forzatura contraria alla logica della politica. “Solo uno che non è mai entrato in Parlamento può pensare di approvare una legge elettorale in pieno agosto, a metà legislatura, e con la compatta ostilità delle opposizioni”, dice Ettore Rosato, fedelissimo di Matteo Renzi, cioè di colui che “è venuto meno al patto”, per dirla con Fornaro e con Borghi. Pacta sunt servanda, e Renzi non li rispetta”, spiegano infatti al Nazareno, dove s’affannano per spiegare che il leader di Iv è inaffidabile: a gennaio aveva firmato per il Germanicum, poi ha virato sul maggioritario quando ha capito che la soglia del 5 per cento era troppo alta. “E va bene: ma dopo aver dimostrato che Renzi non sta ai patti, cosa ce ne facciamo?”, si chiedono in parecchi nel Pd.

 

E qui allora tocca sforzarsi in un esercizio di esegesi zingarettiana, provare a entrare nella testa del segretario del Pd che d’improvviso, a metà luglio, ha deciso di dismettere i panni del caro leader conciliante, quello che è costretto a fingere di credere in un governo che lo convince in verità assai poco, e s’è messo ad alzare la voce. El matador tranquillo s’è fatto picconatore, per la gioia di chi, come Borghi, dice che “se il Pd smette, finalmente, di fare il cireneo che canta e porta la croce, non possiamo che esserne contenti”. Già, ma perché così? E perché sulla più impopolare e politicistica delle battaglie: la legge elettorale?

 

Di certo c’è la voglia di Zingaretti di incalzare Renzi: girare tutte le feste dell’unità, nell’estate che viene, dicendo che è colpa dell’ex premier se si arriverà al taglio dei parlamentari di settembre senza avere ancora una legge elettorale che faccia da contrappeso a quella sforbiciata, dev’essere una tentazione irresistibile, per Zinga. “Abbiamo ceduto ai grillini senza portare a casa nulla? Prendetevela con lui”. Poi c’è un’altra lettura, più azzardata. Quella, cioè, che vorrebbe il segretario del Pd ansioso di liberarsi dal vincolo di coalizione con Iv per poter aprire un altro tavolo di trattative col centrodestra, e provare a costruire una convergenza più ampia intorno a una nuova legge elettorale, un proporzionale con un correttivo più marcato e con soglie di fatto più alte, magari sul modello spagnolo. Fumo negli occhi, per Renzi.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ


E infine, c’è chi vede in questo “incidente di frontiera” sulla legge elettorale il primo passo di una rapida marcia che dovrebbe portare al rimpasto di settembre. Perché, come lascia intendere anche Borghi, “se qualcuno viene meno al patto di governo, la conseguenza più logica sarebbe quella di una verifica delle reali volontà di tutti. Insomma, bisognerebbe riaffermare con decisione che tutti i responsabili di questo patto di governo credono ancora, e per davvero, in questa esperienza di governo”. E così, intorno al ragionamento sibillino del deputato del Pd, sembrano orbitare i pensieri ricorrenti di chi, dentro e fuori dal Nazareno, prova a spiegare le smanie improvvise di Zinga con la logica del “governo dei migliori”. Perché la sfida del Recovery plan è di quelle che fanno tremare le vene ai polsi, e perché in una situazione del genere non ci può accontentare di credere nel governo solo fino a un certo punto. C’è bisogno di una presa di responsabilità da parte di tutti i leader dei partiti di maggioranza, c’è bisogno che anche quel Pierino di Renzi decida se stare dentro o fuori, se fare parte o meno dell’esecutivo. E a quel punto – ecco l’esito del ragionamento, che tutti i contorcimenti della ragione risolve – ci sarebbe bisogno che anche Zingaretti , si prendesse un ministero: per senso del dovere, beninteso, e non per ambizione personale e neppure per la sua fretta di andarsene dalla guida della regione Lazio. Un ministero, appunto, per il governo dei migliori. Chi lo conosce bene, dice che avrebbe perfino scelto quale accaparrarsi, ché il Viminale gli garberebbe davvero tanto.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ