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"Il Pd non deve tagliare i ponti con l'impresa". Parla Oscar Farinetti

Carmelo Caruso

Il dossier Aspi interroga il partito di Nicola Zingaretti. Il rapporto con una parte di mondo che ha in passato corteggiato (e candidato). Cosa resta del Pd a "vocazione industriale"

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“Non so dire se la sinistra sia stata in passato subalterna o intimorita di fronte alla grande industria. Ma una cosa oggi la so: in Italia sta diventando difficile fare impresa e sento in giro una caduta di voglia di farla”.

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“Non so dire se la sinistra sia stata in passato subalterna o intimorita di fronte alla grande industria. Ma una cosa oggi la so: in Italia sta diventando difficile fare impresa e sento in giro una caduta di voglia di farla”.

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Mentre attraversa l’Italia in treno, Oscar Farinetti – che al Pd, e a Matteo Renzi, ha mostrato la sua simpatia da imprenditore tutto bilanci in ordine e buonumore – decide di rivolgere una domanda anziché iniziare con una risposta: “A chi affidiamo la gestione di Autostrade? Sento ripetere: revochiamo la concessione ad Atlantia. Ma allora dobbiamo farlo con Anas per le medesime ragioni: ponte caduto e manutenzioni”.

 

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C’è qualcuno che nel Pd è ancora pronto a difendere “l’etica protestante”, la cultura dell’uomo che rischia? Si possono lasciare davvero la fatica e i capannoni al malumore o, peggio, farlo rappresentare alla Lega che si presenta come il partito di chi produce ricchezza? Ci sono voluti anni perché la sinistra intercettasse gli imprenditori, questi uomini colpevoli di ambizione e che, secondo Farinetti, sono costretti a sopportare un riflesso condizionato: “Ci sono politici che non conoscono i meccanismi d’impresa e spesso pensano che gli imprenditori siano mediamente corruttori ed evasori fiscali”.

 

Ma non era la sinistra che lo pensava? “Ormai non è più un problema di destra o sinistra. La distinzione è tra chi immagina uno stato organizzato sull’assistenzialismo e chi lo immagina ancora basato sul lavoro”. E pero, è stato un grande tema che ha interrogato i democratici e prima ancora sono stati insolazioni, colpi di sole, come quello di Massimo D’Alema che premiò alcuni di loro con la medaglia linguistica “capitani coraggiosi”. Walter Veltroni li aveva sedotti con le camicie americane, Matteo Renzi li ha candidati. Qualcosa è cambiato. Le parole recentissime di Goffredo Bettini sulla passata subalternità e poi il dossier Autostrade che per il fondatore di Eataly è un non senso perfetto: “Se revochiamo e poi lo stato perde la causa, che di sicuro partirà, saremo costretti a pagare una penale di oltre venti miliardi. Io lo trovo veramente ridicolo…”.

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Sarà perché è fatto così, da imprenditore, ma per Farinetti questa palude di asfalto e diritto, questo pasticcio revoca-concessione, è causa della “politica che non decide”. Insomma, quanto di peggio teme un vero “capitano”. Per mesi, come ha denunciato la ministra Paola De Micheli, si è preferito prendere tempo per non infastidire il M5s che da anni vuole accompagnare i Benetton all’isola di Sant’Elena. Non c’è dubbio che questa alleanza abbia finito per influenzare il partito di Nicola Zingaretti.

 

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“Il M5s è un movimento che vede con sfiducia le imprese. Il Pd deve convincere le persone più moderate dei 5s a modificare questa visione che distruggerebbe il paese” consiglia Farinetti che non parla apertamente di contagio, ma che comprende l’insidia. Chi passeggia al Nazareno non trova più la sensibilità di Riccardo Illy, ex sindaco di Trieste, governatore del Friuli. Proviamo a chiamarlo: “Le andrebbe di parlare di sinistra e industria?”.

 

Da gentiluomo ci informa che non fa più politica e che è lontano dal partito: “Ho smesso. Non mi manca”. Quando, per convincerlo, gli anticipiamo che è del grande freddo fra industria e sinistra e che solo su questo vorremmo discutere, ci replica così: “E non sarebbe politica, anzi vera politica?”. In Sardegna, se il Pd è riuscito a essere protagonista lo deve a Renato Soru, fondatore di Tiscali. Come si può dimenticare? E invece... Come Illy è ormai a distanza dal partito che, dice, “sugli industriali ha evidentemente cambiato idea”. Non lo dice per polemizzare ma con tanta malinconia: “Che senso può avere alzare nuovamente i muri ideologici? Quando noi imprenditori siamo entrati nel Pd, quei muri sono caduti. E noi ci abbiamo creduto. Ci siamo sentiti parte di una comunità di destino e ricordo la parola d’ordine che è stata alleanza dei produttori”. Il Pd ha perso la memoria? “Ha bisogno di ridefinirsi, ma così facendo rischia di consegnare l’impresa alla destra. Forse la sinistra è tornata al vecchio”.

 

Torniamo allora a Farinetti che è seriamente preoccupato dell’autunno tanto più “se questa voglia di fare impresa non soffierà nuovamente”. E’ difficile capire come il governo chiuderà la trattativa con Autostrade, ma forse, a sinistra, occorrerà lavorare su questo strappo. E infatti, per Farinetti, si dovrebbe provare spiegare (e deve farlo il Pd) che gli imprenditori non sono quell’accolita di predatori, razzisti, che sfruttano i collaboratori e non è neppure vero che si lasciano corteggiare da Salvini: “Sono consapevoli dei pericoli del sovranismo e del populismo. Io ne conosco tantissimi, piccoli, medi e grandi che credono nei loro collaboratori. Occorre dargli attenzione e senza vincoli di misura” conclude Farinetti che da italiano ama il ponte di Genova e che alla sinistra non può che suggerire di non “tagliare i ponti” con l’industria.

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