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Il vero padre del decreto semplificazioni. Non è Conte, ma si chiama Fuda

Carmelo Caruso

Ex senatore durante il governo Prodi. Venne maltrattato per un emendamento che faceva ordine sui reati contabili e oggi ripreso dal governo. La parabola di Pietro Fuda

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Riabilitatelo. Se lo merita. “Ostracizzato, maltrattato. Mi hanno dato del mascalzone, ma sulla responsabilità degli amministratori pubblici avevo ragione io e adesso lo dice pure Giuseppe Conte nel decreto semplificazioni”. Qualcuno restituisca a Pietro Fuda quanto è di Pietro Fuda.

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Riabilitatelo. Se lo merita. “Ostracizzato, maltrattato. Mi hanno dato del mascalzone, ma sulla responsabilità degli amministratori pubblici avevo ragione io e adesso lo dice pure Giuseppe Conte nel decreto semplificazioni”. Qualcuno restituisca a Pietro Fuda quanto è di Pietro Fuda.

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La favola meriterebbe la penna di Esopo, la sapienza di un Pascal, ma lui si accontenta: “Sono un uomo discreto e di poche pretese, ingegnere meridionale. Quarant’anni di servizio alla Cassa del Mezzogiorno, settore acquedotti. Ho costruito dighe, canali. Prima della politica c’è la professione”. Originario di Siderno, (“Mi sa che mi ricandido a sindaco…”), già presidente della provincia di Reggio Calabria, senatore durante il secondo governo Prodi con il Pdm. E che partito sarebbe? “Era il Partito   democratico meridionale, un’invenzione di Agazio Loiero. Per farla corta: prodiani di sostegno”.

 

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E infatti, Fuda, non solo non fece mai mancare il suo voto al Professore, ma fece qualcosa di più, che poi sarebbe il minimo. Cosa ha fatto? “Da conoscitore dei guasti dell’amministrazione pubblica, dopo aver raccolto il lamento di tanti piccoli sindaci citati in giudizio, ingiustamente e per colpe non loro, dalla Corte dei Conti, ebbene sì, decisi di farlo…”. Presentò al Senato un disegno di legge che è entrato negli almanacchi parlamentari come “emendamento Fuda” e che gli ha garantito un posto nella storia delle buone intenzioni smontate dai sacerdoti dell’ideologia e del ‘no’ a prescindere.

 

La proposta si componeva di tre articoli (“Ma la vicenda in realtà si ingarbuglia” premette) e aveva come obiettivo quello di fissare tempi certi per i reati che oggi vengono classificati come “di firma”, atti in cui inciampa qualsiasi sindaco e non per dolo, ma il più delle volte per imprudenza, impreparazione di un funzionario, smemoratezza di un assessore.

 

Sensibile al dolore delle “mezze maniche” della politica, Fuda si è affidato all’ufficio legislativo del Senato che in poco tempo gli confeziona un bel ddl “pulito, scritto come si deve da valenti professori”. Non si dica dunque che non chiese ai migliori. “E non si dica neppure che il problema riguardasse una parte politica”.

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Al Senato, in una di quelle dichiarazioni di intenti, all’unanimità, viene riconosciuto che Fuda ha ragione. Un comunista tutto di un pezzo come Giuseppe Di Lello, magistrato e “vero” amico di Giovanni Falcone, sta con lui. E poi Luigi Zanda, Vincenzo Visco, Giuliano Amato. “Anche l’ex ministro leghista, Roberto Castelli, dichiara in aula che è necessario intervenire e impedire che uomini perbene finiscano nel tunnel”. Non esagera? “Non avete idea cosa significhi finire processato dalla Corte dei Conti. Ci sono sindaci che si sono ammalati. Infarti, ictus. Alcuni di loro sono deceduti dal crepacuore. Solo la morte evita di saldare i debiti. È un guasto a cui i magistrati di Cassazione mettono una pezza, ma sarebbe in realtà compito della politica. E’ il motivo per cui Conte ha deciso di legiferare”.

 

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Ma torniamo al 2007. Dei tre articoli della legge Fuda, non si sa da chi (manina, direbbe Luigi Di Maio), ne viene estrapolato uno. “E qui inizia il mio calvario” ricorda Fuda. Sulla stampa si insinua che sia la più imponente sanatoria, un indulto per farabutti. “E scrivono che sono pagato da Berlusconi”. Inizia una compagna violentissima contro “l’emendamento Fuda”. Mozzorecchi unitevi! Dopo ventitré anni, le norme contenute nel decreto semplificazioni sono più estensive e superano quanto si proponeva l’ingegnere che volle farsi avvocato. Si legga: “Fino a luglio 2021 si limita la responsabilità del danno erariale al solo dolo”.

 

Siamo oltre Fuda tanto che il vero padre della riforma Conte è oggi nella condizione di calarsi nella parte del prudente. “Per volere del governo si è stabilito che per appalti fino a cinque milioni di euro non serviranno gare, ma che saranno sufficienti solo trattative ristrette. Io consiglio, se posso, gare elettroniche. Nei piccoli centri rimane il rischio di brogli”. Alla fine ha vinto lei? “Come ritenerla una vittoria? Del mio passaggio in politica ho imparato solo che il buono non te lo riconoscono e il cattivo non se lo dimenticano”.

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