PUBBLICITÁ

La destra a numero chiuso. La spallata è solo di plexiglas

Carmelo Caruso

Quattro passi alla manifestazione del centrodestra a Piazza del popolo tra quattromila sedie, un labirinto di transenne e qualche big, ma pochi, i necessari

PUBBLICITÁ

Mancano i ceffi del 2 giugno ed è vero come dice Giorgia Meloni che è una piazza, e una destra, a “numero chiuso" (“Ci hanno contingentati. Ma l’avete capito che se stanno a ‘nventa per non farci manifestare?”), ma c’è sicuramente più democrazia e ordine in questo piccolo recinto di piazza del Popolo, quattromila sedie, un labirinto di transenne, che in quella turba irregolare che aveva sconvolto i virologi e preoccupato gli asintomatici. Almeno, oggi, c’è una grammatica, una certa idea di protesta e non il corteo spelacchiato che Giuseppe Andreosi, un giovane militante di Forza Italia, servizio d’ordine, vuole dimenticare e farci dimenticare: “Ti prego, non parlare di cosa è accaduto il mese scorso. Quello era un flash mob. Era l’ora d’aria di Salvini”. E questa manifestazione del centrodestra congiunto cosa sarebbe? “Innanzitutto è la prova che il governo non riuscirà a dividerci. La verità è che sono dei disperati...” dice Maurizio Gasparri che i leghisti guardano a distanza dopo l’apertura di Silvio Berlusconi a Conte che però “non è apertura al governo” spiega sempre il senatore di Forza Italia inoltrandosi nell’esegetica.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Mancano i ceffi del 2 giugno ed è vero come dice Giorgia Meloni che è una piazza, e una destra, a “numero chiuso" (“Ci hanno contingentati. Ma l’avete capito che se stanno a ‘nventa per non farci manifestare?”), ma c’è sicuramente più democrazia e ordine in questo piccolo recinto di piazza del Popolo, quattromila sedie, un labirinto di transenne, che in quella turba irregolare che aveva sconvolto i virologi e preoccupato gli asintomatici. Almeno, oggi, c’è una grammatica, una certa idea di protesta e non il corteo spelacchiato che Giuseppe Andreosi, un giovane militante di Forza Italia, servizio d’ordine, vuole dimenticare e farci dimenticare: “Ti prego, non parlare di cosa è accaduto il mese scorso. Quello era un flash mob. Era l’ora d’aria di Salvini”. E questa manifestazione del centrodestra congiunto cosa sarebbe? “Innanzitutto è la prova che il governo non riuscirà a dividerci. La verità è che sono dei disperati...” dice Maurizio Gasparri che i leghisti guardano a distanza dopo l’apertura di Silvio Berlusconi a Conte che però “non è apertura al governo” spiega sempre il senatore di Forza Italia inoltrandosi nell’esegetica.

PUBBLICITÁ

 

Per prendere le distanze (ma non erano uniti?) hanno allestito all’altezza di via del Corso tre gazebo (“Sei di Forza Italia? Vai ‘de là. Qui siamo Lega”) presidiati da volontari che distribuiscono mascherine: ma chi se le ricorda più? In quello di Forza Italia si raccolgono le firme per chiedere la nomina di Silvio Berlusconi senatore a vita. “Giusto riconoscimento” pensa Simone Leoni, allegro coordinatore dei giovani azzurri di Roma che parla già come un deputato: “C’è un solo uomo che sta dimostrando visione, capacità concreta di leadership. Sapete chi è…”. Sarà per via della colonna sonora che dal palco viene diffusa, tutti i dischi degli 883 che fanno tanto “Ma ti ricordi?”, ma il sentimento è quello della nostalgia. La signora Silvia spera davvero che alla fine Silvio si presenti “anche se qui mi dicono che è rimasto in Provenza. Come dargli torto, con questo caldo?”. Al suo posto c’è il vicepresidente Antonio Tajani che accetta di lasciarsi fotografare, ma in “posa”. Niente selfie in Forza Italia: “Noi siamo persone serie”.

 

PUBBLICITÁ

Malgrado facciano di tutto per nasconderlo, i leghisti si interrogano sulla lealtà del Cavaliere in questi giorni assai traballante. Bruno Scrima, leghista di Subiaco, è sorpreso: “Come può ancora flirtare con la sinistra dopo quello che gli hanno inflitto”. Licia Ronzulli, che non anticipa i pensieri di Berlusconi, ma che partecipa con la sua arte maieutica a generarli, se la prende non tanto con la sinistra, ma con Giuseppe Conte che, anche se non si può dire, “ma io lo dico. Posso? Mi fa imbestialire. Siamo di fronte a un uomo furbissimo, astuto. Attenzione, ci ha preso gusto. Non se ne vuole andare. Io l’ho capito quando ha giurato la seconda volta. È vanesio. Si piace. Fa di tutto per separarci”. Ma se non fa altro che lusingarvi? Ripete che Fi è “il partito più responsabile”. “Appunto, lo dice per metterci contro la Lega. Che siamo i migliori, lo sappiamo, non abbiamo bisogno delle sue pagelle” aggiunge la Ronzulli prima di versarsi sulla testa una bottiglietta d’acqua per battere il caldo torrido.

 

Di big se ne vedono pochi, pochissimi. I necessari. Verso le 11 si affaccia Stefano Caldoro che in Campania deve sfidare Vincenzo De Luca “uno che ha creato un modello sovietico, più che scientifico. Manco Lenin…”. Giovanni Donzelli, sempre più delfino di Giorgia Meloni, è invece tra gli organizzatori dell’evento. Qualcuno lo vede. Nessuno sa dove sia finito. In Fdi si rivendicano le distanze rispettate insomma “un modello di manifestazione. Si nota che questa volta abbiamo fatto noi?” domandano gli iscritti che hanno superato il complesso della subalternità. Marco Girgenti, leghista venuto da Milano, che non cambia fede, non avrebbe difficoltà se al posto di un papa ci fosse una papessa. “La Meloni candidata premier. Perché no?”. Guido Crosetto, accompagnato dalla sua bambina (“Papà, andiamo?”) ricorda che in passato era il contrario: “Era il nostro popolo che non si vergognava di avere simpatie per Matteo”. Adesso sono i leghisti i primi a battergli le mani e non solo perché da donna sa come affrontare il caldo (si aggira con un ventilatore a pile) come Isabella Rauti dotata di cappello di paglia. A differenza di Salvini, la Meloni sa collegare gli ultimi pezzi e non suona il solito disco ormai graffiato, il vinile dei luoghi comuni. Quando sale sul palco compone l’elogio del sudore (“Alle élite il sudore fa schifo. A noi piace perché è il sudore di chi lavora”). Sa aggiornare la propaganda e senza bisogno di pensatori o ideologi di cui si circonda Salvini che viene introdotto da Maria Giovanna Maglie che, come la storica Sarfatti, racconta “non il leader ma l’uomo Salvini”. La piazza, che non riesce a riempirsi, è catturata più dalle denunce della Meloni (“Al governo stavano per spendere 100 mila euro di voli in business class. Li abbiamo fermati”) che dagli aforismi cotti del segretario della Lega che si fa portare via, sempre da lei, la “notizia della settimana” (“I clandestini arrostiscono i gatti”) o la difesa di Indro Montanelli che è il vero nome federatore della destra. E infatti, ultimo a parlare, Salvini premette che sarà “breve perché fa caldo”. Non riesce a tuffarsi e spruzzare vere critiche al governo tanto che alla fine ripiega sul ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e sul plexiglas, materiale buono per ogni maledizione. Anche la materia di cui sono fatte le sue ambizioni è di plastica e arriva pure una pernacchia quando parla e si avvia a concludere. Non può essere questo l’ assalto al governo e neppure al cielo. Si mette a piovere che nella “smorfia” di un militante di Fdi significa solo una cosa: “È tempo di Conte”.

PUBBLICITÁ