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La riforma grafica di Repubblica per silenziare un audio e tacere su vent’anni di bufale

Maurizio Crippa

Il giallista Colaprico e il mascariamento del magistrato defunto

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La mancata presenza, sulla prima pagina di Repubblica di ieri, di un titolo, un qualsiasi occhiello, persino uno strillo, riferito a un audio “rubato” (Lopapa) a un magistrato; la mancata menzione, sulla prima pagina dei giustizieri di Largo Fochetti, di una notizia giudiziaria riguardante Silvio Berlusconi, aveva quasi il sapore di un cambio di rotta, di una riforma grafica, per il giornale che per vent’anni ha fatto delle intercettazioni e delle propalazioni e delle “dieci domande” il suo bazooka. Tanto più che la notizia era, a suo modo, ghiotta nel paese della giudiziaria intesa come categoria dello spirito: il magistrato Amedeo Franco, relatore in Cassazione nel processo Mediaset che condannò in via definitiva il Cav., dice che “fu un plotone di esecuzione”. Poi si passa a pagina 11 (undici) e – che sia un’altra riforma grafica? – a tener su il morale del lettore non sono i titoli e gli articoli, ma la vignetta della facente funzioni ElleKappa: “Nel 2013 Berlusconi condannato per una grave anomalia della sentenza - Non è riuscito a comprarsela”. Perché nel calembour della satira è ammesso dire il contrario dei fatti, e non si paga pegno.

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La mancata presenza, sulla prima pagina di Repubblica di ieri, di un titolo, un qualsiasi occhiello, persino uno strillo, riferito a un audio “rubato” (Lopapa) a un magistrato; la mancata menzione, sulla prima pagina dei giustizieri di Largo Fochetti, di una notizia giudiziaria riguardante Silvio Berlusconi, aveva quasi il sapore di un cambio di rotta, di una riforma grafica, per il giornale che per vent’anni ha fatto delle intercettazioni e delle propalazioni e delle “dieci domande” il suo bazooka. Tanto più che la notizia era, a suo modo, ghiotta nel paese della giudiziaria intesa come categoria dello spirito: il magistrato Amedeo Franco, relatore in Cassazione nel processo Mediaset che condannò in via definitiva il Cav., dice che “fu un plotone di esecuzione”. Poi si passa a pagina 11 (undici) e – che sia un’altra riforma grafica? – a tener su il morale del lettore non sono i titoli e gli articoli, ma la vignetta della facente funzioni ElleKappa: “Nel 2013 Berlusconi condannato per una grave anomalia della sentenza - Non è riuscito a comprarsela”. Perché nel calembour della satira è ammesso dire il contrario dei fatti, e non si paga pegno.

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Potevano fermarsi lì, e far finta di nulla. Poi però tocca scrivere. La cronaca siglata “c.l.” (perché ci vuole dignità, cantava Jannacci) si aggrappa mesta a formulari antichi: “La destra insorge” era un titolo dei bei tempi andati. A rintuzzare un audio con nome e cognome ci sono “altre fonti dalla Cassazione”, che assicurano: “Non fu un verdetto pilotato”. E tanto basterebbe, si deduce, per ristabilire la Verità quo ante. Poi sotto, coadiuvato da Maria Elena Vincenzi, ecco Piero Colaprico, giallista d’ambientazione meneghina nonché capo della redazione milanese, vecchia guardia dei giorni di Tangentopoli, che quando ricompare il Cavaliere nero ritrova l’ispirazione. E che ispirazione. Il punto concettuale è che “non è la prima volta che dalla galassia berlusconiana si prova a screditare una sentenza”. E con quali riprovevoli mezzi, poi: un audio carpito e poi propalato (da che pulpito, da che pulpito). E poi, quale audio: un magistrato che l’avvocato Coppi definiva “galantuomo” (in questo caso vale a sfregio) ma che “è morto da circa un anno e la sua ultima stagione terrena è stata tormentata da un’indagine che però lo vedeva imputato” con l’onorevole editore Antonio Angelucci (e basta il nome). Prezzo della sua “corruzione”? Aveva richiesto un certificato falso. E quale certificato, qui sta il bello: “Non per chissà quale cura, ma per far rifare il seno a una sua amica”.

 

 

Ecco il coup de théâtre. Come provare a disinnescare un fatto che recita il contrario della propria fede? Semplice, non si entra nel merito: basta mascariare il defunto registrato come un corrotto frequentatore di bambole gonfiate. Colaprico è un romanziere, sa come si allude: poco meno che un porco perfetto per il giro di Palazzo Grazioli. Che abbia smentito vent’anni di hate speech contro Berlusconi, che importa? La cosa peggiore del giornalismo italiano, oltre avere la memoria corta e la coda di paglia lunga, è non avere mai il coraggio di giudicare la storia. Giuliano Ferrara ha scritto a proposito di quel che scrivemmo allora: “Noi ripubblicheremmo oggi quei titoli di giornale: chi può dire altrettanto?”. Non si pretendeva certo una risposta. Ma una farci addirittura una riforma grafica, ullallah!

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