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Che Rai sarà?

Valerio Valentini

Il dopo Salini, le domande della politica e i punti che non tornano. Parlano Anzaldi e Barachini

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Roma. L’incertezza, diceva Erich Fromm, è la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le proprie possibilità. In Rai, invece, è la condizione perfetta per generare l’immobilismo, e il caos che ne deriva. E allora ecco che pure Federico Fornaro, sempre pacifico, allarga le braccia sconsolato: “Fabrizio Salini deve chiarire le sue intenzioni per il futuro”, dice il capogruppo di Leu alla Camera e membro della commissione di Vigilanza. “Non è possibile per la Rai affrontare le decisive sfide di questi mesi in un contesto di incertezza”. Appunto. Un avviso di sfratto? “Se Salini vuol rimanere lo dica apertamente mettendo fine allo sterile chiacchiericcio dei corridoi aziendali oppure compia, legittimamente, altre scelte. Ma lo faccia subito”.

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Roma. L’incertezza, diceva Erich Fromm, è la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le proprie possibilità. In Rai, invece, è la condizione perfetta per generare l’immobilismo, e il caos che ne deriva. E allora ecco che pure Federico Fornaro, sempre pacifico, allarga le braccia sconsolato: “Fabrizio Salini deve chiarire le sue intenzioni per il futuro”, dice il capogruppo di Leu alla Camera e membro della commissione di Vigilanza. “Non è possibile per la Rai affrontare le decisive sfide di questi mesi in un contesto di incertezza”. Appunto. Un avviso di sfratto? “Se Salini vuol rimanere lo dica apertamente mettendo fine allo sterile chiacchiericcio dei corridoi aziendali oppure compia, legittimamente, altre scelte. Ma lo faccia subito”.

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Il chiacchiericcio, nella fattispecie, è quello che da giorni rimbomba per i corridoi di Viale Mazzini, e che di lì inevitabilmente rimbalza tra le pareti di Montecitorio. Sul Foglio, lunedì scorso, lo abbiamo raccontato: a quanto pare, Salini si è deciso a lasciare la guida della Rai. Una scelta, quella dell’amministratore delegato voluto dal M5s agli albori del grilloleghismo, che sarebbe motivata, tra l’altro, anche da una faccenda di impedimenti legali. “Da giorni – dice Michele Anzaldi, deputato di Italia viva – si parla di una misteriosa clausola nel contratto di Salini, secondo cui se non lascerà l’incarico entro giugno, al termine del mandato sarà poi costretto a rimanere fuori dal mercato televisivo per uno o due anni”. Ma forse non c’è neppure bisogno di inseguire i misteri. Perché basta leggere il testo della legge di riforma della Rai, voluta dal governo Renzi nel dicembre del 2015, per scoprire che sì, una clausola esiste eccome. Articolo 2, comma 10 bis. Recita così: “Nell’anno successivo al termine del mandato di amministratore delegato, non può assumere incarichi o fornire consulenze presso società concorrenti della Rai”. E pare che a Viale Mazzini si siano attivati per capire se davvero questa clausola entrerebbe in vigore a breve, nel senso che, entrato nel terzo anno di validità, il mandato dell’ad si considererebbe concluso. Se così fosse, Salini avrebbe tempo fino al 27 luglio, per formalizzare le sue dimissioni. Specie se sono vere le voci che lo descrivono come interessato ad un approdo a Netflix, su cui pure gli addetti ai lavori nutrono qualche dubbio. “In realtà – spiegano nel M5s – Salini potrebbe andare via anche perché ormai il cda della Rai è una polveriera, la politica non dà più garanzie e il clima in azienda è pessimo anche in virtù delle azioni legali che alcuni giornalisti hanno mosso contestandogli un demansionamento”. E allora altre voci, altri pettegolezzi: come quello che vorrebbe Salini spinto a un riposizionamento interno all’azienda, magari alla guida di Rai Way o addirittura di Rai-Cinema.

 

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“Io non posso certo divinare le intenzioni di Salini”, spiega Alberto Barachini, presidente della commissione di Vigilanza. “Mi auguro però che al più presto si rendano palesi, quelle intenzioni, sia che l’ad voglia proseguire sia che abbia deciso altrimenti. La Rai – prosegue il senatore di FI – ha bisogno di ripensare al suo futuro e spero che la governance, nel suo complesso, ritrovi un equilibrio, dopo una stagione tribolata che ha portato perfino allo stop del piano aziendale”. Già, perché perfino quello s’è impantanato: per non dire dei bilanci zoppicanti che a malapena si riuscirà a chiudere in pareggio. “Al di là di Salini, questo è il fallimento del grillismo”, commenta Anzaldi. Che evidentemente se lo ricorda bene, quel settembre del 2013 in cui Beppe Grillo scese a Roma per fare la sua sceneggiata da tribuno all’ombra del Cavallo morente, portandosi dietro, nel ruolo di comparsa annuente, l’allora presidente della Vigilanza Roberto Fico. “Dovevano occupare Viale Mazzini per liberarla dai partiti. Hanno finito per occuparla e basta, senza neppure un minimo di slancio”, dice Anzaldi. “Scrissi a Fico appena fu eletto presidente della Camera: la Rai grillina avrebbe potuto valorizzare i giovani professionisti, promuovere personalità al di sopra delle parti e al di fuori degli schieramenti. E invece eccola qui, con 1700 giornalisti e neppure un sito internet decente. L’unica certezza, nell’incertezza generale, è che così non si può andare avanti”.

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