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La verità vi prego sui due Matteo

Salvatore Merlo

Renzi e Salvini non condividono soltanto il nome, ma anche l’aver toccato il cielo con un dito, e l’aver poi perso tutto, o quasi, in una notte. Ora l’uno salva l’altro dai magistrati. E sembra un’unica favola del potere, il cui epilogo può essere Draghi

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Non condividono soltanto il nome, ma anche l’aver toccato il cielo con un dito, e l’aver poi perso tutto, o quasi, in una notte, in un ingannevole tiro di dadi, un referendum e un azzardo, l’uno pensando di poter sfidare l’universo intero e l’altro certo d’avere in tasca le chiavi d’elezioni anticipate e vittoriose. L’uno era il padrone d’Italia e l’altro lo stava diventando, finché entrambi, compulsivi e dissipatori, sono stati capaci di mangiarsi in cinque minuti l’intero vaso di caramelle. Persino i loro amici, infatti, sono pronti a giurare che si piacciono, e s’assomigliano, più di quanto non sia opportuno far sapere.

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Non condividono soltanto il nome, ma anche l’aver toccato il cielo con un dito, e l’aver poi perso tutto, o quasi, in una notte, in un ingannevole tiro di dadi, un referendum e un azzardo, l’uno pensando di poter sfidare l’universo intero e l’altro certo d’avere in tasca le chiavi d’elezioni anticipate e vittoriose. L’uno era il padrone d’Italia e l’altro lo stava diventando, finché entrambi, compulsivi e dissipatori, sono stati capaci di mangiarsi in cinque minuti l’intero vaso di caramelle. Persino i loro amici, infatti, sono pronti a giurare che si piacciono, e s’assomigliano, più di quanto non sia opportuno far sapere.

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Così, ieri pomeriggio, quando nella giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato s’è capito che Matteo (Renzi) avrebbe salvato Matteo (Salvini) dal processo per la Open Arms, ecco che ancora una volta le loro facce si sono sovrapposte, i loro destini incrociati, due parabole del potere e un unico apologo, verrebbe da dire. I due Mattei sconfitti che diventano un solo Matteo, ma al quadrato. “Siamo come il giorno e la notte”, diceva infatti ieri Salvini ai giornalisti che insinuavano l’ipotesi di uno scambio. Ma volendo segnalare distanza, alterità, forse persino disprezzo, il Matteo leghista stava in realtà citando la filosofia taoista dello yin e dello yang, lui e Renzi, la notte e il giorno, due entità opposte ma complementari che formano la totalità. In pratica l’articolazione di un solo protagonista, un unico grande incontenibile Matteo.

 

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E infatti, per tutto il giorno, le cronache e il pettegolezzo di palazzo ieri si riempivano di favole torbide su questo passo doppio, questo giro di valzer per il quale Salvini ha ringraziato “i senatori”, ma non pubblicamente Renzi, il quale, intanto, secondo il senatore De Falco “adesso è in credito con Salvini”, perché quei due, sostengono i Cinque stelle (ai quali notoriamente non la si fa), “se la intendono”. Persino il Pd crede di vedere intelligenze in movimento, segnali dalla Lombardia, dove la Lega, in una trascurabilissima commissione regionale d’inchiesta sul Covid-19, ha eletto una presidente… renziana. “Ecco la prova!”, s’eccitano i grillini a Roma e a Milano. Tutto vero, tutto falso, tutto verosimile, basta che sia creduto da Vito Crimi. E certo due sconfitti che si sommano (ammesso che si stiano sommando) non fanno una vittoria, benché qui vada bene inteso il senso relativo della parola “sconfitta”: l’uno è infatti uno sconfitto con il 27 per cento dei voti, mentre l’altro è uno sconfitto che sta al governo, esercita il potere, esprime ministri e sottosegretari, nomina alle partecipate pubbliche e persino alla Rai. Eppure Salvini è in calo (la colpa è degli occhiali, che anziché migliorargli la vista gli hanno peggiorato l’aspetto, secondo la sua ex fidanzata Elisa Isoardi), e anche Renzi non se la passa tanto bene, visto che ha fin qui saggiamente evitato di misurarsi in qualsiasi elezione si sia tenuta dopo la nascita del suo partito Italia viva.

 

Due Mattei e un unico destino, dunque. La felpa e la camicia bianca, l’estetica del sottoproletario e quella del piccolo borghese, e poi un affetto stabile in comune, come direbbe Conte: Denis Verdini. Si maltrattano e poi si abbracciano, si scambiano complimenti e insultacci. Renzi lo chiamava “bullo”,“egomaniaco” e “fannullone”. Salvini gli rispondeva con “poveretto”, “incapace” e “becchino”. Però poi si telefonavano, e allora Renzi raccontava orgoglioso: “Sapete che dopo la mia sconfitta al referendum mi ha chiamato Salvini? Mi ha detto che gli piacerebbe incrociare le lame con me un giorno”. Ecco, il duello. come quella volta da Bruno Vespa, a insultarsi, finché ancora una volta, a febbraio, eccoli invece sovrapposti, insieme, l’uno sull’altro, l’uno con l’altro, due Mattei che paiono uno solo: “E’ necessario un governo di unità nazionale”. Il governo Draghi, sogno, miraggio, concretissimo approdo.

 

E da più di un anno che entrambi lasciano intuire agli spettatori che nei loro rapporti c’è forse qualcosa di nemico ma anche di complice, negli occhi, nei gesti, che li rivelano avversari eppure alleati in un medesimo codice, legati a paralleli sortilegi di rappresentazione. Li lega il nome, li lega la sconfitta, li contrappone e li affratella l’estetica, troppo rapidamente si sono gonfiati e altrettanto rapidamente sono esplosi, per trovarsi alla fine l’uno a fianco all’altro, addirittura l’uno disposto a salvare l’altro, come i duellanti di Conrad, “è straordinario come quell’uomo, in un modo o nell’altro, sia riuscito a legarsi ai miei sentimenti più profondi”.

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