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Il Cav. sogna “l’unità profonda della nazione”

Claudio Cerasa

Il 25 aprile 11 anni dopo Onna (“è la festa di tutti”), i fondi del Mes (“il nostro voto sarebbe favorevole”), la forza dell’Ue (“sì Recovery fund, stop no euro”), la linea Draghi e la lentezza del governo per il dopo. Chiacchierata con Silvio Berlusconi

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Era il 25 aprile di undici anni fa quando Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, si presentò con un fazzoletto tricolore a Onna – in una delle città abruzzesi più martoriate dal terremoto, che 64 anni prima fu teatro di una strage di civili fatta dalla Wehrmacht in ritirata – e in un discorso che passò alla storia disse che i tempi erano ormai maturi per affermare un’idea precisa: la Resistenza deve essere riconosciuta come “un valore fondante della Costituzione”, la festa della Liberazione deve essere riconosciuta da tutti “come la festa della libertà” e che avere rispetto per tutti i combattenti, “fossero essi partigiani o repubblichini”, non può in nessun caso permettere, di fronte a quel periodo, “di essere neutrali”. Undici anni dopo il giorno in cui Silvio Berlusconi, forse per la prima volta, riuscì a fare breccia nei cuori anche dei suoi avversari, abbiamo chiesto al Cav. di ragionare con noi attorno a un tema importante che non riguarda solo il 25 aprile bensì il futuro del paese: cosa può significare oggi la parola libertà. E Berlusconi, che in questa stagione pandemica è riuscito come undici anni fa a far breccia nei cuori dei suoi avversari, accetta di parlare di tutto: dai risultati dell’Europa al futuro dell’economia, dagli strumenti per la ripartenza alle opportunità della ricostruzione, dai rapporti con gli alleati fino alle critiche alla maggioranza. La prima domanda riguarda l’attualità e a Berlusconi chiediamo qual è stato il carattere del paese che lo ha maggiormente sorpreso. “Certamente la disciplina. Spesso gli italiani vengono descritti come un popolo geniale, creativo, brillante ma disordinato e disorganizzato. Incapace di stare alle regole. E’ un’idea che anche molti di noi condividono. Questa volta abbiamo dimostrato al mondo e a noi stessi che, di fronte a una richiesta di limitazioni e sacrifici molto severa, la grande maggioranza degli italiani ha risposto con senso civico, rispetto delle norme, partecipazione a uno sforzo collettivo. Abbiamo saputo essere nazione, ritrovarci insieme. Non mi ha sorpreso invece la grande professionalità, ma anche lo spirito di sacrificio e la dedizione, di medici e infermieri, delle forze dell’ordine e della Protezione civile e di tutti coloro, come i cassieri dei supermercati o gli addetti ai trasporti, che hanno fatto andare avanti l’Italia in queste settimane difficili, mettendo a rischio la propria vita e la propria salute per salvare o consentire quella degli altri”.

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Era il 25 aprile di undici anni fa quando Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, si presentò con un fazzoletto tricolore a Onna – in una delle città abruzzesi più martoriate dal terremoto, che 64 anni prima fu teatro di una strage di civili fatta dalla Wehrmacht in ritirata – e in un discorso che passò alla storia disse che i tempi erano ormai maturi per affermare un’idea precisa: la Resistenza deve essere riconosciuta come “un valore fondante della Costituzione”, la festa della Liberazione deve essere riconosciuta da tutti “come la festa della libertà” e che avere rispetto per tutti i combattenti, “fossero essi partigiani o repubblichini”, non può in nessun caso permettere, di fronte a quel periodo, “di essere neutrali”. Undici anni dopo il giorno in cui Silvio Berlusconi, forse per la prima volta, riuscì a fare breccia nei cuori anche dei suoi avversari, abbiamo chiesto al Cav. di ragionare con noi attorno a un tema importante che non riguarda solo il 25 aprile bensì il futuro del paese: cosa può significare oggi la parola libertà. E Berlusconi, che in questa stagione pandemica è riuscito come undici anni fa a far breccia nei cuori dei suoi avversari, accetta di parlare di tutto: dai risultati dell’Europa al futuro dell’economia, dagli strumenti per la ripartenza alle opportunità della ricostruzione, dai rapporti con gli alleati fino alle critiche alla maggioranza. La prima domanda riguarda l’attualità e a Berlusconi chiediamo qual è stato il carattere del paese che lo ha maggiormente sorpreso. “Certamente la disciplina. Spesso gli italiani vengono descritti come un popolo geniale, creativo, brillante ma disordinato e disorganizzato. Incapace di stare alle regole. E’ un’idea che anche molti di noi condividono. Questa volta abbiamo dimostrato al mondo e a noi stessi che, di fronte a una richiesta di limitazioni e sacrifici molto severa, la grande maggioranza degli italiani ha risposto con senso civico, rispetto delle norme, partecipazione a uno sforzo collettivo. Abbiamo saputo essere nazione, ritrovarci insieme. Non mi ha sorpreso invece la grande professionalità, ma anche lo spirito di sacrificio e la dedizione, di medici e infermieri, delle forze dell’ordine e della Protezione civile e di tutti coloro, come i cassieri dei supermercati o gli addetti ai trasporti, che hanno fatto andare avanti l’Italia in queste settimane difficili, mettendo a rischio la propria vita e la propria salute per salvare o consentire quella degli altri”.

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Le ore che stiamo vivendo sono cruciali per capire non solo che fine farà il nostro paese ma anche che fine farà l’Europa. In questi giorni, i massimi esponenti dell’Unione europea hanno riconosciuto che l’Europa si è mossa tardi ma hanno rivendicato un fatto: quando l’Europa si è mossa, ha fatto tutto il necessario. Dalla Bce al fondo Sure, contro la disoccupazione, passando per la modifica del Mes, i fondi stanziati con la Bei fino alla promessa dei Recovery bond. Si può davvero rimproverare qualcosa a questa Europa solidale? “In tutta sincerità al principio io ero preoccupato per le lentezze dell’Europa. Oggi l’Unione europea però è scesa in campo con una serie di strumenti estremamente importanti, alcuni dei quali voluti proprio da noi, con un paziente lavoro di convinzione prima di tutto all’interno del Partito popolare europeo. La decisione al vertice di giovedì scorso di dare il via libera al Recovery fund è molto importante, un passo sulla strada giusta anche se naturalmente bisognerà vederne la concreta realizzazione. E’ necessario mettere in campo almeno mille miliardi, e almeno la metà devono essere contributi a fondo perduto. C’è anche un tema di tempi: solo a giugno si avrà una determinazione definitiva e il fondo diventerà operativo da dicembre. E’ troppo tardi. Nel frattempo dev’essere la Bei a rendersi garante per consentire congrue anticipazioni da erogare prima dell’estate, salvo conguaglio nel 2021 E’ molto importante poi la nascita del fondo Sure, da me tenacemente voluta, per finanziare la cassa integrazione, e il fatto che la Bei sia pronta a finanziare piani di infrastrutture nei paesi come l’Italia che soffrono di un deficit infrastrutturale rispetto ai partner europei. Infine è fondamentale il fatto che la Bce abbia messo sul tavolo oltre mille miliardi di euro per garantire i debiti sovrani”.

  

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Possiamo dire che questi mesi stanno dimostrando a non pochi nazionalisti europei che avere un’Europa che fa di più, e non di meno, è l’unico modo per rafforzare le economie dei paesi membri? “Posso dire che i nazionalismi sono stati all’origine delle grandi tragedie del XX secolo e potrebbero esserlo anche di quelle del XXI. Se l’Europa non riuscisse a mettere in campo una risposta comune alla duplice emergenza, sanitaria ed economica, nessun paese ce la farebbe da solo, pagheremmo tutti un prezzo molto alto. L’Europa deve dimostrare, soprattutto questa volta, di essere una comunità di popoli basata su valori condivisi, su un’identità che è quella dell’occidente liberale e cristiano. E’ proprio la presenza di partiti sovranisti, in alcuni paesi dell’Europa del nord, a rendere più difficile uno sforzo comune europeo a sostegno dei paesi più in difficoltà, come l’Italia. La presenza di un forte partito sovranista, per esempio, ha portato il governo olandese a dire di no a molte richieste italiane. Con la competizione fra sovranismi non si va da nessuna parte, unendo le forze l’Europa può vincere questa sfida difficilissima e garantirsi un ruolo negli equilibri mondiali che usciranno, comunque, molto modificati da quello che sta accadendo. In questi equilibri la Cina, che a quanto pare starebbe uscendo prima degli altri dalla pandemia, potrebbe trovarsi in una condizione rafforzata e quindi ancora più pericolosa. Per questo è necessaria una nuova solidarietà dell’occidente, basata sui valori liberali e cristiani, è necessario che l’Europa faccia la sua parte dandosi una politica estera e di difesa comune, è necessario ricuperare un rapporto di alleanza e non di contrapposizione con la Russia, in questa grande sfida fra oriente e occidente che si avvia a diventare il tema costante del XXI secolo”.

  

In queste ore, purtroppo, diversi investitori stanno osservando con preoccupazione la traiettoria imboccata dall’Italia. Il debito cresce, la crescita scende, la disoccupazione aumenterà. Sono tre temi con cui devono fare i conti tutti i paesi d’Europa, ma l’Italia è osservata con maggiore preoccupazione. Che cosa preoccupa? “Direi la fragilità complessiva del sistema-Italia, che era precedente alla pandemia. Eravamo già, dopo quasi 10 anni di governi non scelti dagli italiani, il fanalino di coda dell’Europa per quando riguarda la crescita, prossima allo zero anche in condizioni normali.

  

Avevamo un tasso di disoccupazione superiore alla media europea. Abbiamo già sulle spalle un debito pubblico fra i più alti al mondo. E’ naturale che le nostre capacità di risposta siano inferiori a quelle di altri. Anche per questo in Europa è meglio cercare di convincere e di collaborare, piuttosto che sventolare le bandiere e minacciare, come ogni tanto prova a fare in modo un po’ velleitario il presidente Conte. Quando governavamo noi, ottenevo risultati importanti in Europa proprio grazie al clima di fiducia e di cordialità personale che si era instaurato con i diversi leader”.

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Tra le preoccupazioni degli investitori ve n’è una legata ancora al Mes. E l’ambiguità di una parte del governo, e non solo, su questo tema sta creando sfiducia su un punto particolare: la capacità dell'Italia di governare i suoi istinti anti europeisti e le sue spinte anti euro. Può essere positivo un voto in Parlamento sul Mes per uscire da questa ambiguità? E se il governo chiedesse un voto su questo punto il suo partito come si comporterebbe? “L’ho già detto e lo ripeto, il nostro voto non potrebbe che essere favorevole. Mi dispiace che i miei alleati del centro-destra non siano su questo punto della mia stessa opinione, ma – come dicevano i latini – “amicus Plato sed magis amica veritas”. La verità in questo caso è che nella sua versione originaria – ma solo in quella – il MES era uno strumento inaccettabile, anche se rispondeva ad un’esigenza che capisco perfettamente. Chiunque di noi faccia un prestito a un amico in difficoltà ha diritto di chiedere che uso questo amico vuole fare della somma prestata e come pensa di restituirla. Lo stesso vale fra gli Stati. Però il MES in origine prevedeva che questo controllo avvenisse con mezzi inaccettabili, non rispettosi della sovranità nazionale, come l’intervento della c.d. Trojka; funzionari internazionali che avrebbero di fatto commissariato l’economia del paese in difficoltà. Il fatto è che questa volta non c’è nulla di tutto questo. Abbiamo a disposizione un prestito di circa 37 miliardi, praticamente a tasso zero e senza condizioni se non quella di impiegare queste somme in ambito sanitario diretto e indiretto. Cosa significa questo? Significa risparmiare almeno 500 milioni l’anno di interessi rispetto a quello che ci costerebbe reperire le stesse risorse per altra via. Significa poter costruire nuovi ospedali, riqualificare quelli esistenti, creare delle sezioni di isolamento nelle case di riposo, che tanto hanno sofferto in queste settimane, e nelle carceri, che sono luoghi a rischio. Significa comprare attrezzature mediche, letti, respiratori, dispositivi di protezione individuale. Significa assumere nuovi medici e paramedici, formarne altri per il futuro, aumentare lo stipendio agli eroi di queste settimane. Significa potenziare la ricerca scientifica soprattutto sui farmaci e sui vaccini, un campo nel quale l’Italia può vantare scuole, istituti e laboratori di eccellenza. Tutto questo naturalmente comporta anche far lavorare aziende in molti comparti, far circolare liquidità con un effetto positivo complessivo. Sinceramente non riesco a comprendere una sola ragione per dire di no. Tanto più alla luce del fatto che questo crea le condizioni per un intervento teoricamente illimitato della Bce in acquisto dei titoli di stato italiani qualora il nostro debito sovrano venisse attaccato dalla speculazione. Insomma, è una polemica sulle parole, degna dei Cinque stelle, oppure nasconde un desiderio inconfessabile: portarci fuori dall’area euro e dalla stessa Unione europea, rendendo di fatto impossibile ai nostri partner europei aiutarci. Per queste ragioni di merito diciamo sì al nuovo Mes senza alcuna condizionalità. Ovvio che il nostro parere sarebbe ben diverso se fossero poste delle condizioni. Ma sono certo che non ve ne saranno. Comunque diffido i nostri avversari dal nutrire false speranze: l’unità del centrodestra, maggioranza naturale degli italiani, non è assolutamente in discussione. Con i nostri alleati su questo argomento c’è da sempre una diversa sensibilità. Rispetto la loro opinione – che in questo caso coincide con quella dei Cinque stelle – ma non la condivido: del resto siamo partiti diversi, uniti da un progetto comune e dal voto degli italiani. Noi nella coalizione rappresentiamo il centro liberale, cristiano, garantista, europeista”.

  

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La Commissione europea, tra le molte iniziative intraprese, ha cambiato le norme che regolano gli aiuti di stato e ha lasciato intendere che l’Europa sarà meno severa sul tema delle nazionalizzazioni. Pensa possa essere opportuno un forte intervento dello stato, anche con nazionalizzazioni mirate, per sostenere il settore del turismo? “Siamo in un momento di emergenza, nella situazione più simile a una guerra degli ultimi settant’anni. L’economia di guerra richiede provvedimenti eccezionali, compreso un maggiore ruolo dello stato, che in circostanza normali un liberale come me rifiuterebbe nel modo più assoluto. Però esiste un limite da non travalicare. Guai se la conseguenza di questa crisi fosse il dilagare permanente del controllo dello stato sull’economia. Sarebbe un danno forse peggiore dell’epidemia stessa. Le nazionalizzazioni sarebbero proprio un passo in questa direzione. Nella seconda metà del XX secolo lo stato imprenditore ha già dimostrato in tutto il mondo di essere fallimentare. Oggi lo stato deve intervenire pesantemente, anche facendo deficit, per sostenere le imprese, perché nessuna azienda deve chiudere e nessun lavoratore deve perdere il posto di lavoro. Ma il controllo sulle aziende va lasciato al mercato, se vogliamo che ci siano le condizioni per una ripresa vera, una ripresa sana. Non è tornando al modello statalista e assistenzialista che ci salveremo dalla crisi”. In un intervento pubblicato qualche giorno fa sul Financial Times, Mario Draghi ha espresso i seguenti concetti: “Davanti a circostanze imprevedibili, per affrontare questa crisi occorre un cambio di mentalità, come accade in tempo di guerra. Gli sconvolgimenti che stiamo affrontando non sono ciclici. La perdita di reddito non è colpa di coloro che ne sono vittima. E il costo dell’esitazione potrebbe essere fatale”. E’ d’accordo? “Totalmente d’accordo. E’ per questo che sono sempre più preoccupato per le lentezze del nostro governo. Noi dal principio abbiamo fatto quello che deve fare un’opposizione responsabile, ci siamo stretti intorno alle istituzioni garantendo al governo la piena disponibilità a collaborare. In realtà il presidente Conte, forse pressato dai Cinque stelle, ha preferito fin qui fare da solo. Il risultato è che sul piano della gestione sanitaria ci sono stati dei ritardi, ma su quello della tutela del sistema produttivo e dei cittadini in difficoltà economica siamo pressoché fermi. Mai come questa volta il tempo è un fattore decisivo per l’efficacia degli interventi. Invece le imprese non hanno ancora visto nulla, i 600 euro per lavoratori autonomi sono troppo pochi e arrivano troppo tardi, persino i soccorsi per i più bisognosi sono stati distribuiti in modo lento e macchinoso. Si avvicina la data di una possibile riapertura, e questa è una buona notizia, anche se naturalmente dobbiamo procedere con prudenza, perché il rischio del riaccendersi del contagio è ben reale, come ci ricordano ogni giorno gli esperti della sanità. Ma ripartire significa programmare una procedura molto complessa, sulla quale c’è ancora confusione, notizie contraddittorie, incertezza che fa male alle imprese. Insomma, il rischio è di fare troppo poco, troppo tardi, troppo male. Non possiamo permettercelo, se non vogliamo distruggere la vita produttiva del paese e lasciare in mezzo alla strada milioni di italiani”.

  

“Nessun motivo di critica al governo è venuto meno, continuo a sperare di averne uno nuovo. Ma sono discorsi relativi al domani”

Le previsioni del Fondo monetario, rispetto al 2020 dell’Italia, sono devastanti, anche se sono ottimistiche rispetto ad altre stime. L’Fmi dice che il pil italiano calerà di 9 punti, altre banche dicono che il pil calerà di 11 punti. Le chiediamo: ma per affrontare una catastrofe storica di questo tipo ha ragione chi dice che occorre avere un esecutivo non di parte e il più largo possibile? “Negli anni drammatici della Seconda guerra mondiale la Gran Bretagna si unì intorno a un gigante della storia come Winston Churchill, consentendogli di guidare il paese nei giorni più difficili della difesa della patria e poi fino alla vittoria. Ma a poche settimane dalla fine della guerra in Europa (quella con il Giappone era ancora in corso) gli inglesi andarono al voto in un clima tutt’altro che di unità nazionale e mandarono a casa addirittura Churchill, affidando al leader dell’opposizione di allora, Clement Attlee, il compito di guidare la ricostruzione postbellica. Così funziona una democrazia liberale. Un conto è stringersi attorno alle istituzioni e collaborare lealmente nell’emergenza con chi in quel momento governa, ovviamente ricordando che Conte non è Churchill. Un altro conto e ben diverso è immaginare di governare insieme a forze politiche che hanno cultura, valori, programmi del tutto diversi, anzi opposti. Un governo così non sarebbe utile al paese, anzi porterebbe alla paralisi decisionale. Leggo interpretazioni molto azzardate delle nostre scelte di questi giorni. Forza Italia è nata come alternativa alla sinistra, siamo stati noi a introdurre il bipolarismo in Italia. Le differenze ci sono anche oggi, con i grillini, che sono contro l’Europa, contro l’impresa, per le nazionalizzazioni, per la decrescita, ma anche con il Pd che immagina nuove tasse in un momento nel quale bisogna fare esattamente l’opposto. Nessuno dei nostri motivi di critica al governo Conte è venuto meno, continuo a sperare che si possa avere un nuovo e diverso governo più rappresentativo degli italiani. Ma questi sono discorsi che appartengono al domani: oggi siamo ancora in piena emergenza, concentriamoci su questo”.

  

Eppure, insistiamo, i paesi che si stanno comportando meglio, in questa fase, sono quelli che stanno mostrando una grande capacità di collaborazione tra maggioranza e opposizione. Ci dice quali sono tre vostre proposte concrete, per la ripresa, che se fossero fatte proprie dal governo non avrebbe problemi a far votare? “Noi abbiamo chiesto al governo di modificare il decreto Liquidità, estendendo fino al cento per cento la garanzia statale sui prestiti alle imprese, eliminando l’intermediazione della Sace, allungando i tempi di restituzione dei prestiti ad almeno 20. Abbiamo proposto una moratoria di tutti gli adempimenti fiscali e i pagamenti verso lo stato almeno fino alla fine del 2020 per le imprese colpite dalla crisi. Abbiamo reclamato il pagamento immediato dei debiti della Pubblica amministrazione verso i privati. Sono cose che si potrebbero fare facilmente, sfruttando la flessibilità di bilancio. Naturalmente se ci ascolteranno su questi temi avranno il nostro sostegno. Più in generale proponiamo una terapia choc di tipo fiscale per la ripresa, introducendo la flat tax per tutti a un livello molto basso, un grande piano casa e un grande piano infrastrutture, la modifica del codice degli appalti e l’abolizione del sistema delle autorizzazioni preventive. E poi, soprattutto, una riforma vera, profonda, concreta della burocrazia sulla via di una autentica e reale semplificazione. Quella semplificazione tante volte invocata a parole ma mai realizzata nei fatti. Con il paradosso che, negli anni, tutte le leggi cosiddette di semplificazione si sono rivelate come fonte di ulteriori complicazioni, gravando spesso i cittadini di nuovi onerosi adempimenti o di astruse prescrizioni. Sono strumenti essenziali per ripartire, ma mi sembra difficile che un governo condizionato dai Cinque stelle possa seguire questa strada e infatti non ha ritenuto di accettare alcuno dei nostri emendamenti”.

  

Nei prossimi anni, complice la grave crisi economica che l’Italia e non solo andrà ad affrontare, lo stato tornerà ad avere un ruolo molto importante nella nostra vita pubblica e nella nostra economia. Ci dice le svolte di cui avrebbe bisogno lo stato per evitare che gli italiani non siano ostaggi di una democrazia ingolfata incapace di decidere? “In queste settimane sto riflettendo molto su un tema: di fronte all’emergenza, una dittatura come quella cinese – che ha gravi responsabilità nell’aver tenuto nascosto quello che stava accadendo – ha però dimostrato successivamente una capacità di decisione più veloce e più efficiente delle democrazie. Se l’Italia avesse adottato i provvedimenti restrittivi chiesti da alcune regioni del nord immediatamente, alle prime avvisaglie di quanto stava accadendo in Cina, invece di lasciar passare settimane decisive, probabilmente la storia di questo dramma sarebbe stata diversa. Di fronte alla logica richiesta di sottoporre a quarantena non i cinesi, ma chi avesse soggiornato in Cina, si parlava addirittura di razzismo e intanto il virus cominciava a circolare liberamente. L’ideologia ha rallentato anche da noi, come in Cina, una risposta efficace alla pandemia dilagante. Le nostre democrazie devono ritrovare pragmatismo, concretezza, serietà. La politica deve recuperare una dimensione “morale”, tornare a essere elaborazione e confronto di idee e non semplice tattica per conservare il potere. Di cos’ha bisogno la nostra democrazia per funzionare meglio? Prima di tutto di un governo che sia davvero espressione degli italiani e che quindi i cittadini riconoscano come proprio, che possa essere autorevole riferimento per le parti sociali, per il mondo del lavoro e dell’impresa, per i territori e i governi locali. Questo significa, ed è la seconda condizione, riportare alla guida del paese la competenza e la serietà. L’idea che “uno valga uno”, che le più alte responsabilità pubbliche possano essere affidate a persone senza competenza né esperienza, che in fondo la decrescita sia quasi desiderabile, in una parola l’intero armamentario ideologico dei grillini si è rivelato in questa stagione drammaticamente inadeguato, e lo sarà ancora di più per il futuro. Il terzo tema è arrivare finalmente a una chiara definizione delle responsabilità fra livelli di governo centrale e periferico: i continui conflitti su chi debba decidere, le ordinanze che si sovrappongono e si contraddicono fra stato e regioni, aumentando così le difficoltà di cittadini e imprese, sono uno spettacolo che non deve ripetersi. Se la fase della ripartenza sarà gestita in modo confuso come è avvenuto fino a oggi, le conseguenze potranno essere molto gravi. In questo momento sta al governo trovare un vero coordinamento con le regioni, senza prevaricarne il ruolo”.

  

Il nuovo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha invitato gli imprenditori a trasformare la tragedia del coronavirus in un'opportunità per accelerare le trasformazioni delle aziende italiane. Che cosa deve fare oggi un buon imprenditore (e anche il governo) per far sì che l’acceleratore del futuro imposto dal coronavirus sia non solo una tragedia ma anche un’opportunità? “Si sente dire spesso che in cinese la parola ‘crisi’ e la parola ‘opportunità’ si scrivano nello stesso modo. In effetti questa è solo una leggenda, ma il concetto rimane valido: in ogni fase di cambiamento anche questa volta alcuni soccomberanno, ma chi sarà più bravo ad adattarsi alle nuove condizioni crescerà più e meglio di prima. E’ questa la scommessa che devono fare gli imprenditori italiani – come dice giustamente il presidente Bonomi – che dalla loro hanno un grande punto di forza: la flessibilità di un sistema che si basa sulla piccola e media azienda. La rapidità con la quale prestigiose aziende italiane hanno convertito la produzione per affrontare l’emergenza è un ottimo segnale: in pochi giorni la Ferrari è passata dal fabbricare lussuose auto sportive ai respiratori per i malati di Covid. Certo, il governo ha il dovere di essere – mi lasci dire ‘una volta tanto’ – dalla parte delle imprese, e al tempo stesso offra tutele a chi non ce la fa, non per sua colpa. Non sarà facile, per un esecutivo privo di cultura industriale e ideologicamente lontano dal mondo dell’impresa, ma mi auguro che in questa emergenza il senso di responsabilità prevalga sull’ideologia”. I paesi che vogliono tornare al lavoro, in tutta Europa, lo avrà certamente notato, si stanno occupando anche di come permettere ai genitori di lavorare senza tenere i figli a casa. Lei pensa che le scuole, in Italia, dovrebbero riaprire nei prossimi mesi o è d'accordo con chi pensa che sia opportuno riaprirle dopo settembre? “E’ un tema molto complesso. Da un lato evidentemente sarebbe bene riprendere l’attività scolastica il prima possibile, sia per dare sollievo alle famiglie sia perché la didattica a distanza, anche dove si può realizzare, non ha la stessa efficacia dell’insegnamento in classe. Dall’altro però bisogna considerare il rischio sanitario, che non è affatto cessato: far rispettare le norme di distanziamento sociale nelle scuole è particolarmente difficile, quasi impossibile con i bambini e i ragazzi più piccoli. Bisogna evitare in ogni modo che le classi diventino un luogo di circolazione del virus. Pare che i più giovani siano fortunatamente quasi immuni rispetto al Covid, ma tornando a casa possono infettare i familiari, specie i più anziani. Lascerei la questione ai medici, ai virologi, agli epidemiologi: la politica in certi casi deve fare un passo indietro. Quello che è veramente grave però è che su questa materia regni ancora un’assoluta incertezza, a pochi giorni da una parziale ripresa delle attività lavorative: i genitori hanno bisogno di potersi almeno organizzare per tempo. Aggiungo ancora una considerazione: se le scuole rimarranno chiuse, dovremo immaginare forme concrete di sostegno ai genitori che devono accudire i figli”.

  

“Quel fazzoletto di Onna lo custodisco nel cuore, prima ancora che in una teca. Oggi idealmente lo faccio sventolare con ogni italiano”

Presidente, il 25 aprile del 2009 lei fu protagonista di un discorso a Onna molto apprezzato per celebrare la liberazione. Che cosa rappresenta per lei il 25 aprile? Qual è il messaggio di libertà che dovrebbe essere incarnato da questo giorno? E conserva ancora il fazzoletto che le venne regalato da un gruppo di partigiani della Brigata Maiella? “Allora come oggi l’Italia celebrava il 25 aprile nel pieno di una tragedia. Allora si trattava del terremoto in Abruzzo, che ferì gravemente quella splendida regione, alla quale volli rendere omaggio in una città-simbolo come Onna. Oggi si tratta della pandemia che colpisce tutt’Italia e si accanisce in modo particolare sulla mia Lombardia. E’ triste che un anniversario importante come il 75esimo della Liberazione cada in un momento così doloroso. Però questa coincidenza deve anche farci riflettere. Le cose che diamo come scontate nelle nostre società dell’occidente, la libertà, la sicurezza, il benessere, la salute, non sono mai conquistate per sempre. Pericoli vecchi e nuovi sono costantemente in agguato. Oggi vi è un rischio sanitario, un rischio economico, e sullo sfondo anche il rischio che si rimettano in discussione alcuni cardini delle nostre società libere e aperte. Dalla Cina totalitaria e comunista non ci arriva solo il virus, ci arriva anche un disegno egemonico che potrebbe essere favorito proprio dalla nostra debolezza. Oggi il 25 aprile dev’essere veramente la festa di tutti, perché è intorno alle nostre libertà, al nostro modo di vivere in una società democratica, che tutti gli italiani si uniscono come si sono uniti nella risposta all’emergenza. Spero che quest’anno più che mai sia un giorno di unità profonda della nazione. Quel fazzoletto di Onna lo custodisco nel mio cuore, prima ancora che in una teca ad Arcore. E oggi idealmente lo faccio sventolare con tutti gli italiani”.

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