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Cambiare idea si può

Giuliano Ferrara

Contro il partito dei dispettucci che si perde nei dettagli e chiude gli occhi di fronte alla svolta di coscienza dell’Europa

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Cambiare opinione è difficile, ma è fecondo. I vecchi maturi hanno questo di vantaggio sui giovani più acerbi, che mutando animo e opinioni, lo confessino o no, se lo confessino o no, si convertono, orientano le loro vite su altri e nuovi orizzonti. Insomma vanno incontro nei casi migliori a quella specie di gioventù regalata dalla vita a chi sa viverne più d’una. Non tutti, non sempre, certo. E non tutti i cambiamenti sono esenti da opportunismo sciatto, da rassegnazione, da spirito di resa e di convenienza. Questo in generale. Ci sono poi casi particolari, casi tecnici, che in politica sono a volte perfino surreali, e che sfidano il principio logico di non contraddizione, un principio che nel gergo filosofico si può anche formulare (è significativo) come principio di contraddizione.

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Cambiare opinione è difficile, ma è fecondo. I vecchi maturi hanno questo di vantaggio sui giovani più acerbi, che mutando animo e opinioni, lo confessino o no, se lo confessino o no, si convertono, orientano le loro vite su altri e nuovi orizzonti. Insomma vanno incontro nei casi migliori a quella specie di gioventù regalata dalla vita a chi sa viverne più d’una. Non tutti, non sempre, certo. E non tutti i cambiamenti sono esenti da opportunismo sciatto, da rassegnazione, da spirito di resa e di convenienza. Questo in generale. Ci sono poi casi particolari, casi tecnici, che in politica sono a volte perfino surreali, e che sfidano il principio logico di non contraddizione, un principio che nel gergo filosofico si può anche formulare (è significativo) come principio di contraddizione.

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Eccone uno. L’Europa politica è da decenni sotto processo perché non è abbastanza un’Europa politica, la sua logica è monetaria e mercantile, le sue regole e classi dirigenti sovranazionali e intergovernative sono accusate di non agire in uno spirito di vera concertazione e di sovrapporre una burocrazia dei mercati al progetto, appunto politico, di unione e di cooperazione. L’Italia ha un governo che nessuno è tenuto a amare, sebbene i più consapevoli abbiano dovuto riconoscere che di fronte alla crisi del Papeete e dei pieni poteri si era rivelato necessario, e ha un suo capo privo di un curriculum da leggenda, diciamo così, e almeno un partito, i grillini, sovraesposto nel teatro dell’assurdo e della stupidità incompetente. D’accordo? D’accordo.

 

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Ora un trauma poderoso che dura da oltre due mesi, che ciascuno ha affrontato facendo errori e mostrando solidarietà e coraggio, che l’Italia ha arginato se non con lode almeno senza infamia, ha incontrato nel supergoverno europeo una certa capacità di risposta che non si impernia su interessi mercantili di corto raggio e segnala qualcosa di più e di migliore di quello cui credevamo di essere abituati. Gli stati-nazione europei, reduci da guerre sanguinose in un secolo ferrigno, hanno ciascuno un proprio interesse, chi debitore chi creditore, chi ricco e produttivo chi meno ricco e meno produttivo; hanno lingue e culture diverse, eredità lontane tra loro, conflitti antropologici da sempre latenti; gli stati-nazione sono diversi dagli stati americani, alle spalle dei quali c’è una Costituzione di oltre duecento anni e una decisione una volta per tutte (Lincoln) di essere uniti in senso federale, decisione sostenuta da ideologia, dogmi, fervore religioso, patriottismo (Trump a parte, e a parte tutto quanto di volta in volta rimette in discussione l’identità americana in un immaginario o verosimile “complotto contro l’America”).

 

Eppure questi stati-nazione hanno concordato di erogare risorse per duemilacinquecento miliardi allo scopo di fronteggiare in un contesto solidale le conseguenze della pandemia e le necessità di riscattare economie e società duramente provate, cioè noi europei. Lo hanno fatto in tempi più che ragionevoli, tenendo conto che qui non c’è un governo federale e un Congresso che possono votare gli stanziamenti a bilancio di una superpotenza in un fiat, quale che sia la divisione politica del paese, ma una struttura complessa in cui l’identità e la ricerca dell’identità politica sono ancora fluide, esposte al negoziato. Lo hanno fatto con la Bce che spara liquidità e batte moneta per la difesa comune con un occhio privilegiato alla difesa dei più esposti, con il piano per il sostegno al lavoro, con il prestito a tassi largamente inferiori a quello degli indebitamenti nazionali dei più deboli e garantito da tutti in proporzione, con una banca comune attivata per le imprese, con un fondo di spesa per la ricostruzione garantito dalle economie, comprese quelle più forti, in una logica di bilancio comune fatta anche di grant, cioè di finanziamenti di trasferimento, come si dice “a fondo perduto”.

 

Il tutto, come ricordato, fa per adesso duemilacinquecento miliardi di euro. E a questo tutto va aggiunto che la garanzia delle garanzie, il Patto di stabilità da sempre indicato come una trappola egemonistica dei forti contro i deboli dalle squinternate polemiche nazionaliste e populiste, è stata sospesa insieme con norme intenibili sugli aiuti di stato nazionali.

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Questi sono fatti, con il bollino del Consiglio europeo e della Commissione di Bruxelles. Certo c’è la questione dei tempi di esecuzione, rilevantissima, e c’è discussione su come queste risorse saranno governate, su come si convergerà verso un minimo comune denominatore, rassicurante per tutti, nelle politiche fiscali e nelle altre politiche di spesa e di investimento. Vorrei vedere. Ma il punto importante è quello segnalato da Macron nella sua conferenza stampa: l’Europa sta smettendo di considerare il mercato unico un puro circuito finanziario e commerciale, astrattamente supino a regole di mero mercato, assume coscienza del fatto che se un suo pezzo cede sarà anche il resto a cedere, e di fronte a un trauma non derivante dall’osservanza o meno della lettera famosa della Bce, ma da un blocco causato da un’epidemia imprevista, in sintonia con i consigli illuminati di Draghi nel suo articolo sul Financial Times, reagisce in uno slancio superstatale e supernazionale di tipo cooperativo se non unitario.

  

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A questa novità importante si aggiungono un governo italiano che è della partita, una Francia all’avanguardia, una Spagna inventiva (i perpetual bond) e una Germania disponibile che mette il suo peso nel gioco nonostante le evidenti difficoltà politiche a sostenere quel peso. Si può sottovalutare quello che accade per esigenze di coerenza che si riducono a fare un ulteriore dispettuccio critico all’avvocato del popolo, al Bisconte, a Giuseppi? Non è questo un caso di testardaggine, di incapacità, nella quale non si può avere troppa fiducia, a cambiare opinione in coerenza al mutamento dei fatti? Non è assurdo?

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