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Salvini, fai qualcosa. La Lega alle prese con la crisi dei botti sovranisti

Salvatore Merlo

Stordito. Incapace di cambiare musica. Prigioniero di sé stesso. Il punto di vista di Giorgetti (e Zaia)

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Roma. Il mito dell’infallibilità, cresciuto assieme ai consensi, in quella cavalcata stordente che aveva portato la Lega dalla miseria del 4 ai fasti del 30 per cento, Matteo Salvini se l’era già giocato ad agosto, con la crisi di governo. Nessuno dei suoi colonnelli aveva davvero provato a dissuaderlo, allora. Troppo grande la fiducia nell’uomo del destino, malgrado le tante buone e prudenti ragioni che avrebbero dovuto sconsigliare l’ultimo azzardo del leader funambolo, acrobata senza rete. “Per mesi gli ho detto ‘stacca stacca’. E quando gli ho detto di non farlo, lui ha annunciato la crisi. Ma andasse…”, si sfogava in quei giorni Giancarlo Giorgetti, prima di eclissarsi per un po’, nella stessa condizione di impotente rassegnazione nella quale si è rinchiuso ancora una volta adesso. L’immobilità politica e la comunicazione compulsiva di Salvini preoccupano Giorgetti. E non solo lui

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Roma. Il mito dell’infallibilità, cresciuto assieme ai consensi, in quella cavalcata stordente che aveva portato la Lega dalla miseria del 4 ai fasti del 30 per cento, Matteo Salvini se l’era già giocato ad agosto, con la crisi di governo. Nessuno dei suoi colonnelli aveva davvero provato a dissuaderlo, allora. Troppo grande la fiducia nell’uomo del destino, malgrado le tante buone e prudenti ragioni che avrebbero dovuto sconsigliare l’ultimo azzardo del leader funambolo, acrobata senza rete. “Per mesi gli ho detto ‘stacca stacca’. E quando gli ho detto di non farlo, lui ha annunciato la crisi. Ma andasse…”, si sfogava in quei giorni Giancarlo Giorgetti, prima di eclissarsi per un po’, nella stessa condizione di impotente rassegnazione nella quale si è rinchiuso ancora una volta adesso. L’immobilità politica e la comunicazione compulsiva di Salvini preoccupano Giorgetti. E non solo lui

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Alcuni, tra gli amici comuni di Varese, dicono che Salvini e Giorgetti non si parlano da giorni. Chissà. Questi restano arcani, anche perché molti altri, dentro e fuori dal partito, negli ambienti collaterali al leghismo di potere, spiegano invece che mai Giorgetti e Salvini romperanno, “è semplicemente impossibile”. Ma l’uomo del destino, unto dalla fortuna e dal consenso, non è più tale dentro e fuori dalla Lega. A destra c’è Giorgia Meloni che occupa spazio, approfittando – e senza nemmeno troppo faticare – dello stordimento e della totale assenza di iniziativa politica di Salvini, rinchiuso nella bolla rancida dei social (ma anche lì: “Non ne azzecchiamo più una ormai”, è la confessione sfuggita alla sua portavoce Iva Garibaldi), prigioniero com’è delle sue stesse ossessioni, delle sue creature mediatiche Borghi e Bagnai, delle troppe concitate contraddizioni. Al punto che Giorgetti, qualche giorno fa, dalla casa dove è rimasto confinato, finiva con l’accogliere come un’interessante novità il possibile voto di Forza Italia a favore del Mes in Parlamento. “Facessero un nuovo governo col Pd”, diceva Giorgetti, riferendosi a Forza Italia. “Almeno così noi potremmo finalmente smetterla di giocare a chi la spara più grossa con la Meloni. Perché questo per noi è un lento suicidio”. E d’altra parte è l’azione che Giorgetti chiede e predica: Matteo twitta di meno e fai qualcosa. La Lega si sta prosciugando, e senza nemmeno essere mai riuscita a utilizzare il pur grande consenso che aveva raccolto. Eppure basterebbe poco, basterebbe decidere, riprendere la manovra, rendere credibile l’offerta di un governo di unità nazionale, sgombrando il campo da ogni sospetto di strumentalità, smettendola dunque di giocare allo sfascio per offrire, invece, quelle garanzie che il Quirinale per esempio crede di non aver mai seriamente ricevuto da Salvini, “e così finalmente liberarsi di Conte”.

 

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L’operazione è ancora possibile. Ma i tempi e la preparazione sono importanti. Ed è proprio sulla capacità di regolare l’orologio delle proprie voglie sui tempi della politica che il mito dell’infallibilità di Salvini si è incrinato con la crisi di agosto, forse irreversibilmente, anche agli occhi dei leghisti che pure gli sono fedeli perché lui è ancora e sempre il padrone e il capo assoluto del partito. Così attorno a Salvini si è costituito uno strano ed eterogeneo gruppetto di nemici dall’aria intima e collaborativa. Giorgetti e Luca Zaia non hanno niente in comune, sono distanti, diversi, l’uno è il saggio al fianco di Salvini, l’altro invece è l’unico vero avversario di Salvini nel partito leninista padano, eppure in questi giorni la pensano abbastanza nello stesso modo. Solo che Giorgetti vorrebbe salvare Matteo, anche da se stesso, mentre Zaia forse prova un ritorto piacere nell’osservarlo mentre si avvolge sempre di più in un sudario di fetecchie no euro e di contraddizioni in termini, come il voto leghista della scorsa settimana al Parlamento di Bruxelles: “no” al Mes, “no” al recovery fund, e “no” anche ai coronabond. Un’insensatezza dettata ancora una volta da incongrui calcoli propagandistici, visto che la posizione leghista, fino a qualche settimana prima, era in realtà favorevole alla mutualizzazione del debito europeo, al punto che Massimo Garavaglia, bravo ex sottosegretario all’Economia, si era persino esposto con un’intervista ad Affari Italiani a favore dei bond. Ed ecco allora lo strano, asimmetrico asse tra Giorgetti e Zaia. I due, pur non parlandosi, e senza agire di concerto, pensano infatti che la propaganda serva a prendere i voti e non a fare altra propaganda. In parole povere, sono entrambi abbastanza convinti che il sovranismo sia poco più di una perdita di tempo. E come molti altri, anche tra gli amicissimi di Salvini, come Nicola Molteni e Guido Guidesi, in realtà sorridono del caravanserraglio di agitatori e pseudo professori italexiter che il segretario ha portato in Parlamento, tutta la schiuma di quegli horror-show che in Italia vanno sotto il nome di talk. Quello che conta sono i fatti e l’esercizio del potere. Il resto è aria. E allora Zaia, mentre pubblicamente auspica al più presto le elezioni in Veneto, in realtà forse non è così scontento che siano rinviate. Resta a guardare. La prospettiva infatti non è, e non può essere, l’attesa del default italiano e l’uscita dall’euro. La prospettiva è la ripresa della manovra politica da parte della Lega: azione, sviluppo, crescita, insomma un altro governo. Questo chiedono le imprese. Le stesse che già una volta, ai tempi del governo gialloverde, attraverso la Confindustria di Varese, intervennero per ammorbidire l’insistenza leghista sul nome di Paolo Savona, considerato pericolosamente euroscettico, come ministro dell’Economia. Un governo di salvezza nazionale. Un governo in cui Zaia probabilmente avrebbe voglia e titoli per entrare. “La gente si aspetta soluzioni. Soprattutto al nord. Sapere chi ha votato o non votato il Mes non frega a nessuno”, dice Gianni Fava, che sfidò Salvini al congresso del 2017. Ed ecco il punto, sul quale però il segretario sgarzolino sembra sordo, tentennante, forse perché, come la crisi di governo di agosto, anche questa storia del nuovo governo è una di quelle cose che richiedono preparazione, tempo, fatica. Mentre lui vive nella prefigurazione minuziosa non del domani, bensì dei quindici minuti che lo attendono fra un tweet e l’altro.

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