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Dalla sicurezza al benessere, chi tutela gli interessi nazionali

Roberto Garofoli*

Il Golden power come controllo degli investimenti esteri in Italia. I diritti di azionista del Mef nelle aziende strategiche

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Chi e come prende in Italia le decisioni fondamentali per la nostra sicurezza e prosperità nazionale, economica, tecnologica? O per la salute pubblica?

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Chi e come prende in Italia le decisioni fondamentali per la nostra sicurezza e prosperità nazionale, economica, tecnologica? O per la salute pubblica?

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Quanto al “chi”, la risposta è apparentemente semplice. Il principio democratico comporta che spetta ai vertici politici assumere le decisioni più rilevanti. Ma, tanto più quando le decisioni incidono sugli interessi fondamentali del paese e di noi tutti, vanno assunte tenendo conto di un lavoro istruttorio condotto da soggetti muniti di competenze e conoscenze adeguate. La decisione spetta in ultimo sempre alla politica, ma sulla base di un quadro di analisi e di opzioni fornite e prospettate dall’amministrazione e dalla tecnica. Questo vale per qualsiasi ambito di decisione politica: lo stiamo vedendo in questi giorni a fronte di una vicenda drammatica per i suoi effetti di salute pubblica e per i severissimi impatti economici che si stanno delineando. Alla tecnica e alla scienza (le strutture del servizio sanitario nazionale, i virologi, gli epidemiologi) compete ricostruire le caratteristiche del nuovo virus, le modalità della sua trasmissione, i rischi per la salute individuale e collettiva. Alle istituzioni politiche compete decidere. Certo, la decisione politica non è quasi mai vincolata: i virologi possono sostenere che per azzerare il rischio di contagio è indispensabile eliminare ogni momento di socialità, chiudendo scuole, teatri, cinema ben al di fuori delle zone rosse; spetta, tuttavia, alla politica mettere a raffronto e bilanciare vantaggi e danni che ciascuna decisione può determinare su beni che talvolta paiono richiedere misure di protezione non convergenti, quali la salute pubblica e l’economia del paese. Sarebbe, però, problematico e non razionale se la politica facesse le sue valutazioni e assumesse le sue decisioni senza poter prontamente contare su una base approfondita e adeguata di dati, verifiche, opzioni degli esperti.

 

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A questo, anche a questo, dovrebbe servire l’amministrazione pubblica. La difficile situazione che il nuovo virus ha imposto di fronteggiare dimostra piuttosto, inequivocabilmente, quanto sia vitale disporre di strutture tecniche adeguate, quanto sia nevralgica l’amministrazione pubblica e quanto dannoso possa essere trascurane le dinamiche organizzative e funzionali. Il discorso non è meno importante se si guarda ad altri ambiti di decisioni pubbliche, tra cui quelle che incidono sulla sicurezza nazionale e sul benessere economico del paese.

 

In un passaggio di un’intervista resa nel contesto di una più ampia riflessione sulla crisi del multilateralismo internazionale e sulle difficoltà del progetto europeo (Huffington Post, 28 settembre 2019), l’ambasciatore Giampiero Massolo ha sostenuto che “per l’Italia i tradizionali “ombrelli protettivi” – l’Unione europea, la Nato, le Nazioni Unite – non possono più sostituirsi alla capacità di decidere rapidamente e di assumersi responsabilità in proprio nel contesto internazionale. Il che non significa, certo, che non dobbiamo continuare a rafforzare l’Unione europea e l’Alleanza atlantica, ma significa essere pronti anche a determinarsi da soli”. Soggiunge Massolo che questo postula la necessità di identificare con chiarezza l’interesse nazionale e di tutelarlo e perseguirlo.

 

Ma quali sono nel nostro paese i corpi che si occupano della tutela dei nostri interessi nazionali, anche di tipo economico? E quanto sono solidi?

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Come ha di recente sostenuto un raffinato analista politico in un volume pubblicato in questi giorni (Aresu, Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, La Nave di Teseo, Milano, 2020), “l’interesse nazionale non va affidato a un’attenzione intermittente e occasionale, pena il suo stesso indebolimento. Per esprimere e salvaguardare l’interesse nazionale, occorre una “macchina degli interessi” adeguata, che sappia trovare stabilità in uno scenario incerto. Anche attraverso un nuovo investimento nel fattore umano”. L’analisi può essere condotta (e andrebbe condotta) per molti ambiti della pubblica amministrazione.

 

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Qualche breve cenno a due settori. Due tra i tanti ma molto importanti per la estrema rilevanza che rivestono per la sicurezza e il benessere del nostro paese: da un lato, gli uffici pubblici che istruiscono le decisioni in tema di Golden power, dall’altro, quelli che consentono al ministro dell’Economia di esercitare i suoi diritti di azionista nelle più importanti e strategiche aziende nazionali.

 

Quanto ai Golden power, la legge affida al presidente del Consiglio il compito di controllare gli investimenti esteri in Italia attribuendogli incisivi poteri di tipo prescrittivo, interdittivo e oppositivo. E’ una funzione delicatissima perché, se è vero che non possiamo permetterci di non attrarre investitori esteri, non può essere d’altra parte sottovalutata la preoccupazione che taluni investimenti esteri diretti, in specie quelli dei fondi sovrani e delle aziende controllate da altri stati, in particolare extraeuropei, non perseguano obiettivi di natura esclusivamente economica o di semplice massimizzazione del valore e che siano volti, invece, ad assicurare il possesso di tecnologie avanzate, a guadagnare l’accesso a risorse naturali o a migliorare la competitività delle imprese nazionali concorrenti di quelle che si intende acquistare o partecipare. Si tratta di compiti che ciascuno stato nazionale esercita in autonomia, per quanto a partire dal 2019 sia stata introdotta una nuova disciplina che impone talune forme di coordinamento a livello europeo.

 

Analoghi poteri sono previsti in tutti gli ordinamenti. Negli Stati uniti, soprattutto a partire dalla presidenza Trump, il relativo esercizio ha avuto una vera e propria impennata, frutto della crescente conflittualità tra Stati Uniti e Cina sull’alta tecnologia e del corrispondente allargamento del perimetro della national security. Lì, però, alla notevole estensione cui negli ultimi anni si è assistito quanto ai poteri dell’organismo che, tra le altre competenze, istruisce le decisioni del presidente, il Cfius, si è accompagnato un enorme potenziamento strutturale dello stesso, dal punto di vista del personale e delle risorse.

 

In Italia, i compiti del Cfius li svolge il Gruppo di coordinamento che opera in presidenza, diretto oggi da uomini validissimi, ma privo di un proprio apparato burocratico, stabile e specializzato, a esclusione dell’intelligence.

 

Eppure, soprattutto per effetto dell’ampliamento dei settori con riferimento ai quali i Golden power possono essere esercitati (infrastrutture critiche o sensibili, tecnologie critiche), nella valutazione delle istanze di investimento estero è necessaria una competenza tecnica elevatissima che riguarda, per esempio, le reti, la connettività, la loro evoluzione e i conseguenti rischi anche per la sicurezza nazionale dovuti a certe operazioni; una competenza tecnica che si estende fino alla geoeconomia e alla geopolitica. Sono necessarie quindi, tanto più in considerazione degli interessi vitali presidiati, specializzazioni elevatissime e variegate.

 

Una valutazione analoga merita un’altra amministrazione chiamata a presidiare interessi economici rilevanti del nostro paese, in settori pure caratterizzati da una spiccata proiezione internazionale: è l’amministrazione che in Italia consente al ministro dell’Economia di esercitare i suoi diritti di socio nelle aziende a partecipazione pubblica. Aziende strategiche perché, talune, strumento e veicolo non solo di politiche industriali, ma anche di politica estera (Eni, Enel, Fincantieri, Leonardo). Quest’amministrazione è sempre stata al Mef, dove lavorano uomini e donne che operano con passione e dedizione senza pari. Non è però una questione solo di persone, ma anche e prima ancora di adeguatezza strutturale.

 

In Francia, a presiedere alle partecipazioni pubbliche, non meno imponenti di quelle italiane, vi è un’apposita Agenzia, con una struttura snella ma giovane, altamente specializzata, con profili attrezzati a seguire i singoli settori delle partecipazioni statali: l’energia, il gas, le telecomunicazioni e così via. Un modello, quello francese, da valutare quindi, ancorché certo non come soluzione organizzativa obbligata, potendo il rafforzamento del settore passare da noi, in alternativa, per un organico potenziamento delle strutture esistenti.

 

Si parla in modo ricorrente di riforme strutturali, tra queste quelle dell’amministrazione pubblica. E’ un tema da cui la politica non sempre è affascinata, presa peraltro com’è dalla necessità di affrontare quotidianamente emergenze o comunque dossier che non possono attendere.

 

E tuttavia è improcrastinabile una riflessione matura sulle sfide che il paese deve affrontare e sull’adeguatezza strutturale che i suoi apparati è necessario che abbiano. Una riflessione che la politica potrebbe e dovrebbe condurre, certo con diversità di punti di vista, ma senza conflitti, perché ne va dell’interesse nazionale.

 

* Roberto Garofoli è consigliere di stato

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