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La differenza tra essere una calamita e una calamità. Renzi e la fase Lego

Claudio Cerasa

Più giustizia, meno tasse, meno spese inutili. Tre idee per dettare l’agenda e spezzare le catene del populismo

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Ad agosto Matteo Renzi in fondo l’ha azzeccata e la decisione di spingere il Pd a lasciare Matteo Salvini al Papeete a chiedere pieni poteri in mutande e con un mojito in mano ha portato più frutti del previsto: l’Italia poteva essere un passo fuori dall’Europa, e invece non lo è; il governo poteva essere nelle mani di Borghi e Bagnai, e invece non lo è; il grillismo poteva essere ancora tonico, e invece non lo è; e nonostante il più che perfettibile governo guidato da Giuseppe Conte, la popolarità di Salvini non è affatto aumentata, l’Emilia-Romagna non è stata persa e il leader della Lega si ritrova ad avere un competitor persino all’interno della propria coalizione.

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Ad agosto Matteo Renzi in fondo l’ha azzeccata e la decisione di spingere il Pd a lasciare Matteo Salvini al Papeete a chiedere pieni poteri in mutande e con un mojito in mano ha portato più frutti del previsto: l’Italia poteva essere un passo fuori dall’Europa, e invece non lo è; il governo poteva essere nelle mani di Borghi e Bagnai, e invece non lo è; il grillismo poteva essere ancora tonico, e invece non lo è; e nonostante il più che perfettibile governo guidato da Giuseppe Conte, la popolarità di Salvini non è affatto aumentata, l’Emilia-Romagna non è stata persa e il leader della Lega si ritrova ad avere un competitor persino all’interno della propria coalizione.

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A settembre, poi, Renzi la mossa l’ha azzeccata di nuovo. E la decisione di creare un movimento alternativo tanto ai partiti al governo quanto a quelli all’opposizione – in un paese destinato per volontà degli elettori, ricordate il referendum 2016?, ad allontanarsi dal sistema maggioritario e ad avvicinarsi al sistema proporzionale avere un soggetto politico capace di arrivare laddove non riesce ad arrivare il Pd può diventare prezioso anche per lo stesso Pd – ha creato una sana competizione all’interno dell’esecutivo e ha permesso ai nemici del populismo di avere un contenitore che alla lunga potrebbe raccogliere i voti di coloro che pur non essendo di sinistra faticano a riconoscersi in una destra a trazione nazionalista. Le prime due mosse – mosse tattiche, strategiche, di posizionamento – Renzi le ha azzeccate, anche se la resistenza del Pd di Nicola Zingaretti è stata certamente superiore alle aspettative dell’ex presidente del Consiglio.

 

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Ma per non toppare le prossime mosse – e oggi nella due giorni che si apre a Roma con la prima assemblea di Italia viva si capirà qualcosa di più sul futuro di un partito che in modo forse non lungimirante qualcuno ha definito Kadima: ispirarsi a partiti morti non è mai una buona idea – la grande sfida di Renzi è quella di trovare una nuova chiave per sostituire per sempre la stagione della rottamazione con una nuova stagione che potrebbe essere definita come fase Lego. Lego come le costruzioni, naturalmente, dove per costruzioni oggi si intende una sfida a due dimensioni.

 

La prima dimensione riguarda la capacità di costruire un movimento in grado di porsi sulla scena non come una calamità, per il Pd, ma come una calamita per gli elettori in cerca d’autore. Per fare questo occorre naturalmente sapere aggregare con intelligenza tutto ciò che c’è già – la strada di Renzi è destinata a incrociarsi con quella di Calenda, perché non candidarlo a Roma nel 2021?, e con quella di Mara Carfagna, perché non candidarla a Napoli nel 2021?, oltre che con quella di +Europa, perché non candidare Emma Bonino contro Michele Emiliano? Ma per provare a infilarsi in questa autostrada – che c’è – e tentare così di diventare un punto di riferimento importante per il famoso partito del pil occorre, per Renzi, saper resistere fino in fondo alla tentazione di intendere il proprio ruolo nel governo come quello del Pierino della coalizione. E per evitarlo – ecco la seconda dimensione – l’unica strada possibile per Renzi è quella di non avere fretta, di prendere fiato e di sfruttare l’incredibile fase propizia che si è aperta dopo il voto delle regionali per provare a dettare l’agenda al governo e degrillizzare il prima possibile un esecutivo che come dimostrano i dati disastrosi sulla crescita – meno 0,3 per cento nell’ultimo trimestre del 2019 – ha urgente bisogno di spezzare le catene del populismo. La condizione principale per provare a dettare un’agenda, ovviamente, è quella di averla, una propria agenda da dettare. Ma con un Movimento 5 stelle indebolito (non solo in Parlamento) e un Pd interessato a non farsi sottrarre l’agenda del riformismo (Zingaretti non è Corbyn) l’ex leader del Pd può provare a intestarsi anche con una certa semplicità la fase Lego facendo propri tre semplici concetti: più giustizia (fermare l’oscenità della prescrizione), meno tasse (intervenire sull’Irpef), meno spese inutili (vedi quota 100). In attesa di capire, dopo le prossime regionali, quale sarà il destino di questo governo, la differenza tra essere una calamita e una calamità in fondo è tutta qui.

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