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Capitano compulsivo. Salvini non si guarisce

Salvatore Merlo

“Passiamo dalla guerra lampo alla guerra di posizione”, dice un colonnello leghista. Ma il Capo non sa fermarsi e pensa solo alla prossima spallata al governo

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Roma. Forse nessuno ha orecchio per capire la musica della propria esistenza, figurarsi per fermarla al momento giusto. E l’errore che alcuni colonnelli della Lega stanno compiendo, per amore del partito, della politica e persino del loro inarrestabile leader, è credere che Matteo Salvini possa anche solo per un istante, e anche solo per ragioni di tattica, guarire da se stesso. Oggi infatti il segretario della Lega, riunito il poco più che esornativo consiglio federale, ripeterà la storia del “rullo compressore”. E nessuno, né Giorgetti né Molinari, né Rixi né Romeo, potranno mai convincerlo a passare “dalla logica della guerra lampo a quella della guerra di posizione”.

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Roma. Forse nessuno ha orecchio per capire la musica della propria esistenza, figurarsi per fermarla al momento giusto. E l’errore che alcuni colonnelli della Lega stanno compiendo, per amore del partito, della politica e persino del loro inarrestabile leader, è credere che Matteo Salvini possa anche solo per un istante, e anche solo per ragioni di tattica, guarire da se stesso. Oggi infatti il segretario della Lega, riunito il poco più che esornativo consiglio federale, ripeterà la storia del “rullo compressore”. E nessuno, né Giorgetti né Molinari, né Rixi né Romeo, potranno mai convincerlo a passare “dalla logica della guerra lampo a quella della guerra di posizione”.

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Agli occhi dei dirigenti leghisti, sempre più, si sgrana la natura del sentiero che stanno percorrendo, agevole dapprima, poi a poco a poco impervio e come oscurato in una incognita foresta. Tanto per cominciare, la prevalenza della comunicazione su tutto il resto, sulla manovra politica e sull’organizzazione, che tanto ha funzionato fin qui nella raccolta del consenso, male si adatta a una marcia lunga tre anni. “Ci sono cose che sono state sbagliate”, dice un leghista della nuova guardia salviniana. “Averci fatto votare per mandare Matteo a processo è stato sbagliato. Lui ha fatto il ministro dell’Interno, potrebbe diventare presidente del Consiglio, ti devi porre il problema che la Gregoretti era una nave militare e che quelli stavano ubbidendo a degli ordini. Che fai? Vai a processo tu, ministro, ed esponi i militari? C’è stato un momento in cui la prevalenza della comunicazione era giusta. Era inevitabile, perché eravamo sommersi dalle sparate dei grillini, che ragionano solo in termini di comunicazione. Ma adesso? Adesso il gioco è cambiato”. E posto che le spallate al governo sono fallite tutte, compresa l’Emilia-Romagna dopo il referendum Calderoli, ora che le cartucce sono quasi terminate, che si fa? Il governo tiene. E le elezioni sono nel 2023. “Dobbiamo passare dalla blitzkrieg alla guerra di trincea”, dicono allora i dirigenti leghisti, quelli che un po’ ragionano e non si limitano a ripetere quello che dice il Capo, facendolo spesso anche sbagliare. Bisogna insomma utilizzare in maniera proficua, e secondo un progetto lungo, questi tre anni: strutturare il partito che al sud per esempio quasi non esiste, occuparsi dell’intendenza, individuare gruppi dirigenti locali affidabili, tessere relazioni con l’apparato burocratico ministeriale romano che sarà utile in caso di vittoria alle politiche, “e poi bisogna aprirsi. Dovremmo lanciare idee, organizzare convegni ampi e partecipati, eventi sulla finanza, sull’economia, sulla politica estera… avere una proposta anche complessa, che certo non serve a raccogliere il voto di massa, ma serve a ragionare e a far capire che non siamo mica dei citrulli come quelli del Movimento 5 stelle”. E addirittura: “Consentire anche la nascita di un’opposizione interna, di un po’ di dialettica”. Boom!

  

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E’ mai possibile tutto questo, o parte di questo piano? Probabilmente no, se non in minima parte, certamente oggi al consiglio federale saranno creati dei “dipartimenti”, una specie di piccola segreteria, e forse qualcuno sarà anche incaricato di strutturare la Lega al sud. Questa è una cosa che Salvini può fare – e farà – gli basta delegare qualcuno all’organizzazione e poi tornare subito su Facebook e Instagram a girare l’Italia.

 

Ciò che nessuno può chiedere a Matteo Salvini è di non essere se stesso, istintivo e frenetico. Quello della guerra di posizione semplicemente non è il suo codice, cosa che forse, lentamente, per disillusioni e disinganni, sta capendo anche Giorgetti. Salvini elabora guerre lampo perché ha pensieri lampo, cioè pensieri compulsivi. Già adesso infatti sta provando ad angariare i suoi alleati sulle regionali. Sa che molto probabilmente ci sarà un pareggio in Campania e una sconfitta in Toscana, allora figurarsi se mai lascerà senza tentare uno scippo che in Puglia (unica regione dove si può vincere) il candidato sia espresso da Giorgia Meloni. Vincesse infatti Raffaele Fitto, spinto da Fratelli d’Italia, diventerebbe chiaro che mentre Salvini perde (con Lucia Borgonzoni in Emilia) i suoi alleati invece vincono (come la forzista Jole Santelli in Calabria). Uno scenario che il Capo della Lega vuole evitare a ogni costo, proprio perché non ragiona in termini lunghi, di orizzonte, di alleanze e di governo futuro. Lui non ha una prospettiva proiettata in anni, ma in settimane, forse addirittura in giorni. E quindi fatalmente tornerà sui suoi soliti tasti, sulla solita canzone – la Gregoretti che adesso arriva al voto in Aula, gli immigrati, il Fondo salva stati, l’Europa… – semplicemente perché lui un’altra canzone non la saprebbe cantare. E’ fatto così. E’ bravissimo, ma conosce solo uno spartito.

  

Da circa due anni Giorgetti gli suggerisce decine di cose intelligenti. Le sanno tutti le cose che andrebbero fatte nella Lega, eppure non si fanno mai. Altro che guerra di posizione. Già adesso Salvini si interroga su cosa potrà fare da qui a venerdì prossimo, sulla successiva guerra lampo, su come sfondare la linea Gotica di Conte e Franceschini: un patto con Renzi per far cadere il governo? Una campagna acquisti tra i grillini? Nulla rimarrà intentato. Questo è il suo modo di pensare. Il dubbio è che così, alla fine, lui possa arrivare senza pallottole al 2023. Ma nessuno ha orecchio per capire la musica della propria esistenza, figurarsi per fermarla al momento giusto. E Salvini non fa certo eccezione.

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