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Un referendum non basta

Redazione

Tagliare i parlamentari è giusto ma è ora di riordinare la Costituzione

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Tra due mesi si vota per confermare o abrogare attraverso un referendum la riduzione del numero dei parlamentari. Presentata dai 5 stelle come una riforma epocale, in realtà questa misura non cambia nulla nei meccanismi istituzionali, che sono invece lenti e farraginosi per altre ragioni, a cominciare dalla funzione identica e ripetitiva delle due Camere, meccanismo che esiste solo in Italia.

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Tra due mesi si vota per confermare o abrogare attraverso un referendum la riduzione del numero dei parlamentari. Presentata dai 5 stelle come una riforma epocale, in realtà questa misura non cambia nulla nei meccanismi istituzionali, che sono invece lenti e farraginosi per altre ragioni, a cominciare dalla funzione identica e ripetitiva delle due Camere, meccanismo che esiste solo in Italia.

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La riduzione è stata acclamata nell’ambito di una polemica antiparlamentare, portata avanti soprattutto da un movimento che parla di democrazia diretta ma che pretende di esercitare un ruolo che nasce dalla sua dimensione parlamentare, peraltro contraddetta da numerose verifiche elettorali successive. Il fiacco dibattito che precederà un referendum che sembra inutile potrebbe però essere l’occasione per un confronto delle posizioni sul miglioramento dell’assetto istituzionale. Com’è noto le diverse ipotesi di riforma, anche quelle che avevano superato il complesso iter parlamentare, sono state poi bocciate nel referendum confermativo, obbligatorio se la riforma non ottiene i due terzi dei consensi nelle ultime due votazioni alla Camera e al Senato.

 

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Sarebbe ora che le forze politiche, che sono tutte convinte dell’esigenza di mettere mano alla seconda parte della Costituzione, chiarissero quali sono le loro priorità e, nel caso in cui su qualche punto trovassero una convergenza, compiano i passi necessari per approvarli, già in questa legislatura. Tutti sanno quali sono i punti critici: la doppia lettura di tutti i provvedimenti e la definizione delle competenze tra i livelli istituzionali nazionali e locali. Su queste materie è possibile trovare intese assai larghe, mentre su altri temi, come quello della forma di elezione più o meno diretta del presidente o del premier le posizioni sono distinte e spesso distanti. Se non si darà corpo al confronto referendario con un approfondimento di queste tematiche, si sarà persa un’occasione per dare un senso alla partecipazione popolare richiesta, che quindi si tradurrà solo in un fastidio per un elettorato che già da segni evidenti di malessere.

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