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La farsa dei meriti e degli effetti di una legge

Lorenzo Borga

Spesso non c’è alcuna prova che certi fatti siano stati causati dalle diverse politiche a cui si vorrebbe attribuirli

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Quasi 29mila beneficiari del reddito di cittadinanza hanno trovato lavoro tra aprile e dicembre 2019 e quindi significa che il sussidio funziona e che i nuovi contratti sono dovuti all’opera dei navigator. Tra gli assunti con il Jobs Act dopo poco più di tre anni sono stati licenziati il 21,3 per cento, tra quelli ancora con l’articolo 18 leggermente di più, quindi significa che il Jobs Act non ha aumentato i licenziamenti – come si temeva – ma li ha ridotti. A novembre 2019 si è raggiunto il record di occupati in Italia, e quindi il merito è del “decreto dignità”, quota100 e reddito di cittadinanza. Tutto questo è falso. O meglio, tutto ciò che segue la parola “quindi” è falso. O meglio ancora, non c’è alcuna prova che dimostri che questi fatti siano stati causati dalle diverse politiche a cui si vorrebbe attribuirne il merito.

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Quasi 29mila beneficiari del reddito di cittadinanza hanno trovato lavoro tra aprile e dicembre 2019 e quindi significa che il sussidio funziona e che i nuovi contratti sono dovuti all’opera dei navigator. Tra gli assunti con il Jobs Act dopo poco più di tre anni sono stati licenziati il 21,3 per cento, tra quelli ancora con l’articolo 18 leggermente di più, quindi significa che il Jobs Act non ha aumentato i licenziamenti – come si temeva – ma li ha ridotti. A novembre 2019 si è raggiunto il record di occupati in Italia, e quindi il merito è del “decreto dignità”, quota100 e reddito di cittadinanza. Tutto questo è falso. O meglio, tutto ciò che segue la parola “quindi” è falso. O meglio ancora, non c’è alcuna prova che dimostri che questi fatti siano stati causati dalle diverse politiche a cui si vorrebbe attribuirne il merito.

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Capire cosa-causa-cosa

In Italia abbiamo un problema di logica grande come una casa. In pochi, per di più tra chi siede ai posti di comando, conoscono le regole per definire con certezza cosa-ha-causato-cosa. E questo è un tema enorme, perché si rischia che sulla base di convinzioni non verificate o vere e proprie bufale vengano prese decisioni che muovono miliardi di euro di denari pubblici. E, per non sparare sempre sulla croce rossa, questo è vero per buona parte della classe politica, ma coinvolge anche il management della pubblica amministrazione, e -diciamocelo – pure il mondo dell’informazione. Si tratta di un problema così impellente che non è inappropriato, in questo caso, scrivere che la logica della causalità servirebbe insegnarla a scuola, perché potrebbe rivelarsi utile in ogni occasione anche della vita privata.

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La fallacia logica è pensare che quando due eventi si verificano assieme (riprendendo il primo esempio, entra in vigore il reddito di cittadinanza e trovano lavoro 29mila persone che lo ricevono) per forza ci sia un legame di causa-effetto tra i due e – per i più arditi – questo legame sia l’unica spiegazione esistente. Così reddito di cittadinanza, Jobs Act, “decreto dignità” e Quota100 vengono facilmente promossi (o bocciati) sulla base di un semplice dato (s)favorevole. Perché quelli riportati in capo all’articolo sono tutti esempi reali, dichiarazioni di esponenti di partito anche al governo del paese. A questi bisognerebbe spiegare che un evento può essere determinato da infinite cause e che è incredibilmente semplificatorio – e mistificatorio – pensare che un fatto sia dovuto a un solo fattore. 

 

Correlazione e causalità

È la differenza tra la correlazione, due fenomeni che si verificano assieme, e la causalità, quando i fenomeni sono uno causa dell’altro. Gli esempi su reddito di cittadinanza, Jobs Act e quota100 sono perfetti esempi di correlazione. E non hanno una valenza di verità più rilevante rispetto ad altri casi strampalati, e il sito di Tylver Vigen ne raccoglie alcune davvero buffe, come ha segnalato Jacopo Giliberto su Econopoly. Tra il 1990 e il 2009 c’è stata una correlazione del 99,79 per cento tra la spesa del governo americano in scienza, spazio e tecnologia e il numero di suicidi per soffocamento: quando cresceva il primo cresceva anche il secondo. Ma cosa c’entrano uno con l’altro? Evidentemente nulla. Oppure, il trend di persone annegate cadendo in una piscina è simile nei due terzi dei casi al numero di apparizione cinematografiche di Nicolas Cage. Ancora, c’è un legame? No. Ah, per la cronaca l’energia generata dalle centrali nucleari negli Stati Uniti – seguendo la fallacia logica – spiegherebbe ancora meglio il numero di annegamenti in piscina: la correlazione in questo caso aumenta al 90 per cento. Gli esempi potrebbero essere infiniti, ma la risposta è sempre la stessa: due fenomeni che cambiano con un trend simile non provano in alcun modo che siano legati e che si influenzino l’un l’altro.

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L’analisi si può complicare ulteriormente se teniamo conto che una correlazione semplice non ci fa comprendere il nesso dell’effetto causale. Dai dati possiamo vedere che chi abusa di alcol è probabile abbia anche un reddito minore rispetto a chi beve moderatamente. Ma perché è così? È l’alcol che alla lunga rende poveri per via dei suoi effetti, o è il disagio economico che porta ad abusarne? Senza un’analisi non lo potremmo sapere mai.

 

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Attenzione, una correlazione – pur non rappresentando una dimostrazione – potrebbe essere un indizio di un legame causale. È famoso tra gli studiosi il grafico che mostra un andamento positivo comune tra la vendita di occhiali da sole e il consumo di gelati. È davvero improbabile che acquistare un occhiale da sole aumenti di per sé le probabilità di essere un amante dei gelati, o il contrario. Ci deve essere dunque dell’altro: in questo caso è ovviamente la presenza del sole, che aumenta sia la vendita degli occhiali che quella dei gelati. Questo semplice caso aiuta a comprendere come una correlazione potrebbe essere il frutto di un terzo fattore che agisce su entrambi. In inglese gli studiosi lo chiamano “omitted variable bias”. Ma non è questo l’unico problema di leggere i dati frettolosamente. Altre complicazioni possono nascere da chi si analizza. Prendiamo l’esempio del Jobs Act: in questo caso la dichiarazione è del deputato di Italia Viva Luigi Marattin, che confronta i licenziamenti dei lavoratori con il Jobs Act a quelli assunti con l’articolo 18. Il punto però è che le due platee di lavoratori potrebbero non essere comparabili, e dunque le differenze tra le percentuali dei licenziati potrebbero essere dovute non all’applicazione o meno delle regole del Jobs Act, ma alle differenze di partenza tra i due gruppi di lavoratori. In effetti uno studio, segnalato su Twitter dall’economista Fabio Sabatini, ha verificato l’effetto del Jobs Act sul mercato del lavoro (Boeri, Garibaldi, 2018) tenendo conto di tutta la serie di fattori che potrebbero influenzare l’effetto finale. Risultato? Nelle imprese a cui sono state applicate le nuove regole si è registrato un aumento del 50 per cento dei licenziamenti (e anche delle assunzioni), quindi l’effetto contrario a quello che parrebbe dalle semplici percentuali.

 

Il contro-fattuale

Un’altra giusta domanda da porsi quando ci si trova davanti a dei numeri sugli effetti di una nuova norma è: cosa sarebbe successo senza? Senza il reddito di cittadinanza quanti di quei lavoratori avrebbero trovato un nuovo contratto? Senza quota100 e “decreto dignità”, quale sarebbe stato il risultato dell’occupazione? In termini tecnici è il contro-fattuale, una realtà alternativa che non potremmo mai vedere con i nostri occhi ma che – se calcolata – ci può far comprendere l’impatto delle nostre scelte. Anche qui, prendiamo l’esempio concreto dei prepensionamenti decisi dal primo governo Conte, e che qualcuno – anche in televisione – ha additato come causa del record dell’occupazione in Italia. A fare una semplice analisi temporale parrebbe di sì: quota100 è entrata in vigore nei primi mesi del 2019 e a novembre secondo l’Istat si è raggiunto un nuovo record di lavoratori. Ma così non è: secondo la Banca d’Italia i prepensionamenti hanno avuto, come era facile attendersi, un effetto negativo sull’occupazione perché sono stati più numerosi i pensionati rispetto a chi ha trovato lavoro prendendo il loro posto. Dunque il record dell’occupazione è stato raggiunto nonostante quota100, e non grazie.

 

Con questi accorgimenti – pensare ad altri fattori non presi in considerazione che potrebbero influire sul risultato finale, ragionare sulle platee che stiamo confrontando e riflettere su ciò che sarebbe accaduto senza il fenomeno che stiamo studiando – si possono valutare con maggiore precisione, e senza prendere cantonate, le politiche pubbliche. Così, forse, ci saremmo evitati qualche miliardo di euro di soldi pubblici sprecato.

 

I quasi-esperimenti

Una fallacia simile ha anche caratterizzato il dibattito pubblico sull’ormai fortunatamente sepolto dibattito sulla moneta europea. Alcuni esponenti critici verso l’Euro hanno per anni utilizzato semplici grafici che avrebbero voluto dimostrare una flessione degli indicatori economici italiani dopo l’entrata del nostro paese nell’area dell’Euro. Ma, anche qui, un andamento congiunto tra due fenomeni – entrata nell’Euro e andamento dell’economia italiana – non dimostra alcunché (come ha fatto spesso notare l’economista Riccardo Puglisi). Ci vogliono tecniche statistiche che gli addetti ai lavori hanno sviluppato nel tempo. Alcune sono molto complesse, altre più semplici. La base è, in una correlazione, tenere conto anche di altri fattori che potrebbero influenzare l’effetto finale che si intende studiare. Dunque, per esempio, per capire quali siano i migliori licei di una città non bastano i semplici dati sugli stipendi e le carriere degli ex studenti che si sono diplomati. Per comprendere davvero l’impatto di una scuola superiore sulla qualità della vita dei suoi studenti è necessario tenere conto delle loro differenze di partenza. Per questo uno studio serio – e quelli che circolano in Italia sul tema spesso non lo sono – prenderà in considerazione il contesto familiare degli studenti e l’economia dell’area in cui la scuola si trova, oltre a molto altro. Altre tecniche sono ancora più sofisticate, tanto da avvicinarsi agli esperimenti naturali delle scienze dure in cui si confrontano gli effetti di un trattamento – per esempio di un farmaco – su due gruppi di cavie, uno a cui viene somministrato il trattamento e il secondo invece cosiddetto di controllo. In economia e nelle scienze sociali non è così semplice, per il semplice fatto che non è possibile, per i costi elevati e per questioni etiche, somministrare il reddito di cittadinanza o un prepensionamento a qualcuno escludendo deliberatamente qualcun altro, solo per studiarne l’effetto. Così per esempio si tiene conto degli anni precedenti all’introduzione del cambiamento che si vuole analizzare, o si prende a confronto una realtà estremamente simile che non è stata coinvolta (ad esempio ai confini tra un ente locale e un altro). Solo così è possibile appurare per davvero l’effetto di una scelta sulla collettività.

  

Chiunque invece proponga ricette facili, numeri semplice e grafici intuitivi, ebbene – questa volta senza il bisogno di test statistici – è molto probabile vi stia ingannando (e, forse, sprecando i vostri soldi).

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