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Prime prove di maggioranza Ursula

Valerio Valentini

Larghe intese per archiviare il referendum sul taglio dei parlamentari. Scenari

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Roma. All’ora di pranzo Giancarlo Giorgetti incrocia in Transatlantico il capogruppo di Leu, Federico Fornaro, e lo stuzzica sul tema a lui più caro: “Ma cosa diavolo avete partorito?”. Ce l’ha con la legge elettorale, quel ritorno al proporzionale che arriva come una rasoiata sui progetti di gloria dei leghisti. Ma ce l’ha, più in generale, col disegno che d’improvviso si fa chiaro: “Qui c’è nostalgia di pentapartito”, dice il consigliere di Matteo Salvini. “E il più nostalgico di tutti è Giuseppe Conte, che oggi sembra aprire all’ingresso di Forza Italia nella maggioranza, in ossequio al principio del ‘purché ci sono io, va bene tutto’”. E però pochi metri più in là, il grillino Gianluca Castaldi quasi se la gode, la delusione di Giorgetti: “Preparando il campo per la maggioranza Ursula, il premier ha fatto una mossa giustissima, con tempi perfetti. Una triplice mossa”, si corregge poi , dice il sottosegretario ai Rapporti col Parlamento, “che stabilizza tutto”. 

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Roma. All’ora di pranzo Giancarlo Giorgetti incrocia in Transatlantico il capogruppo di Leu, Federico Fornaro, e lo stuzzica sul tema a lui più caro: “Ma cosa diavolo avete partorito?”. Ce l’ha con la legge elettorale, quel ritorno al proporzionale che arriva come una rasoiata sui progetti di gloria dei leghisti. Ma ce l’ha, più in generale, col disegno che d’improvviso si fa chiaro: “Qui c’è nostalgia di pentapartito”, dice il consigliere di Matteo Salvini. “E il più nostalgico di tutti è Giuseppe Conte, che oggi sembra aprire all’ingresso di Forza Italia nella maggioranza, in ossequio al principio del ‘purché ci sono io, va bene tutto’”. E però pochi metri più in là, il grillino Gianluca Castaldi quasi se la gode, la delusione di Giorgetti: “Preparando il campo per la maggioranza Ursula, il premier ha fatto una mossa giustissima, con tempi perfetti. Una triplice mossa”, si corregge poi , dice il sottosegretario ai Rapporti col Parlamento, “che stabilizza tutto”. 

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E in effetti la giornata in cui si prova a blindare la legislatura si apre con la decisione di quattro senatori vicini a Mara Carfagna di ritirare le proprie firme per l’indizione del referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Basta questo, per impedire al forzista Andrea Cangini di depositare il dossier in Cassazione nel termine sperato – e a chiedere un rinvio fino alle 15 di oggi – perché i 64 autografi necessari non ci sono più. E basta questo, soprattutto, per scombinare i piani del Carroccio. Perché se il referendum contro il taglio non c’è, viene meno anche quella fase di turbolenza che precederebbe la consultazione in cui Salvini spera di innescare la crisi. “Vedrete che altre firme arriveranno”, dice sardonico Giorgetti, quando gli riportano la notizia.

 

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Evidentemente sa bene che Roberto Calderoli da settimane tampina Cangini, per avere l’aggiornamento quotidiano sul numero di firmatari. Il colonnello leghista è convinto che l’indizione di questo referendum, ritardando l’entrata in vigore della delega governativa sulla riforma dei collegi elettorali fino a dopo la celebrazione della consultazione popolare, agevolerebbe la strada anche all’altro referendum, quello ideato proprio da Calderoli per abrogare la parte proporzionale del Rosatellum e istituire per via forzosa il maggioritario. L’esatto opposto di quello che la maggioranza intende fare con la proposta di legge depositata in quelle stesse ore dal grillino Giuseppe Brescia, che rimuove i collegi uninominali, introduce uno sbarramento al 5 per cento e un diritto di tribuna che in fondo rende l’ipotesi digeribile anche a un pezzo di Leu. “Mi pare una proposta su cui si può ragionare”, dice Fornaro, che di leggi elettorali è tra i massimi intenditori. E che, a sentirsi domandare se la scelta di accelerare i tempi sulla riforma elettorale sia casuale o voluta, risponde con finta ingenuità che “è una casuale scelta voluta”. Perché il 15 gennaio la Consulta è chiamata a esprimersi sulla proposta di referendum di Calderoli, e avviare l’iter legislativo prima di quella data è importante. “E’ un segnale di serietà che speriamo venga apprezzato da tutti”, dice il senatore pd Dario Parrini, pure lui al centro delle trattative. E un segnale è anche quello lanciato da Conte nell’intervista al Foglio. “E’ un messaggio ai senatore di FI anche per convincerli a ritirare le firme”, osserva Castaldi.

 

E allora ecco spiegata l’ansia dei leghisti di fronte allo smottamento delle firme al Senato. Ed è così che, mentre la Libia è in fiamme, il medio oriente rischia di deflagrare, a Palazzo Madama inizia uno psicodramma intorno al numero di senatori che aggiungono o ritirano il proprio nome dalla lista. E quasi tutto lo sbracato conflitto si gioca dentro al campo devastato di Forza Italia, su cui passa la linea di faglia della legislatura. Perché i leghisti provano fino all’ultimo a non sporcarsi le mani. “E allora pretendono di usare noi di FI come prestanome, come servi sciocchi del loro re”, sbuffa Mallegni. Perfino Anna Maria Bernini, capogruppo azzurro, a un certo punto si mette di traverso: “Così è troppo”, fa sapere ai leghisti. Che a quel punto sono costretti a mobilitare le proprie truppe, ma con la paura di perderci la faccia: come giustificare l’incoerenza di chiedere un referendum contro una legge che si è fortemente voluta? Dal Senato partono telefonate a Salvini, che tra un comizio e l’altro in Emilia acciuffa col suo staff una mezza scappatoia mediatica: “Facciamo come in Svizzera: referendum sempre e comunque”. Ed è così che a rimpiazzare le quattro firme ritirate dai carfagnani ne arrivano otto di altri forzisti e di leghisti. Giochi riaperti, ma con l’incognita del Pd. Nicola Zingaretti, mentre con una mano s’informa sugli sviluppi della crisi libica, con l’altra alza il telefono e, in prima persona, si appella ai sette senatori dem che hanno firmato. Almeno quattro si dicono disposti a retrocedere, ma non Tommaso Nannicini. E neppure Gianni Pittella. Che a metà pomeriggio riceve una telefonata da Gaetano Quagliariello: “Secondo me – dice il senatore lucano – state caricando questo dossier di eccessiva importanza. La legislatura dura o cede a seconda di quello che fa il governo”. Poi però ascolta in silenzio, il suo viso s’irrigidisce. E quando riattacca, confessa a un suo collaboratore: “Quagliariello dice che si sta muovendo Mattarella”. Evidentemente è anche dal Colle che si tesse la trama della stabilità. E forse è pure per questo che Giorgetti prova, a modo suo, a scongiurare il rischio dell’isolamento della Lega: “Io la mia proposta su un governo di salvezza nazionale l’avevo lanciata tempo fa. Dispiace che nessuno la raccolga, evidentemente hanno tutti più a cuore gli interessi di partito che quelli del paese”.

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