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Un giusto processo contro i pieni poteri

Claudio Cerasa

La difesa del leader della Lega sul caso Gregoretti mostra il lato più pericoloso del salvinismo: l’idea che i voti ricevuti ti possano permettere di essere considerato al di sopra della legge. Così Salvini è finito in un angolo proprio sull’immigrazione

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When in trouble, go pig. Matteo Salvini, ieri pomeriggio, nel corso di una diretta facebook, è tornato a occuparsi dei suoi problemi e lo ha fatto ricordando che “il 26 gennaio ci sarà l’eventualità di un processo nei miei confronti”. Salvini ha detto di non essere preoccupato, più che altro ha detto di essere “schifato e incuriosito”, e ha sostenuto che “solo in Italia possono provare a processare con l’ok del Parlamento un ex ministro che ha solo difeso i confini, la sicurezza e l’onore del paese”. “Mi vogliono mandare a processo – ha aggiunto l’ex ministro – per sequestro di persona perché ho bloccato per quattro giorni uno sbarco? Lo facciano. Io penso che non processeranno solo Matteo Salvini ma processeranno la stragrande maggioranza degli italiani”.

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When in trouble, go pig. Matteo Salvini, ieri pomeriggio, nel corso di una diretta facebook, è tornato a occuparsi dei suoi problemi e lo ha fatto ricordando che “il 26 gennaio ci sarà l’eventualità di un processo nei miei confronti”. Salvini ha detto di non essere preoccupato, più che altro ha detto di essere “schifato e incuriosito”, e ha sostenuto che “solo in Italia possono provare a processare con l’ok del Parlamento un ex ministro che ha solo difeso i confini, la sicurezza e l’onore del paese”. “Mi vogliono mandare a processo – ha aggiunto l’ex ministro – per sequestro di persona perché ho bloccato per quattro giorni uno sbarco? Lo facciano. Io penso che non processeranno solo Matteo Salvini ma processeranno la stragrande maggioranza degli italiani”.

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Nel corso del suo videomessaggio, il leader della Lega ha cercato di mostrare una relativa serenità utilizzando uno stile simile a quello incarnato dal marchese del Grillo – senso del messaggio: io-so-io-e-voi-nun-ziete-un-cazzo – ma ancora una volta dovendo parlare delle accuse mosse contro di lui l’ex ministro ha scelto di non entrare in alcun modo nel merito, scommettendo tutto su una strategia difensiva finalizzata a dimostrare semplicemente un unico fatto: il popolo sta con me. Nell’approccio difensivo scelto da Salvini sul caso Gregoretti emerge però un problema non di secondo piano di cui forse il leader della Lega non si deve essere reso conto fino in fondo.

  

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La scorsa estate, Salvini è finito in un angolo nel momento stesso in cui ha forzato la mano chiedendo agli italiani di aiutarlo a conquistare i “pieni poteri” per governare l’Italia. L’espressione “pieni poteri” è stata spesso evocata dagli avversari del leader leghista per ricordare cosa potrebbe significare affidare un giorno i pieni poteri a un leader desideroso di far fare un passo fuori dall’Europa a uno dei paesi che l’Europa l’ha fondata. Salvini ha sempre negato di aver utilizzato l’espressione pieni poteri con il tono ducesco di chi vuole mettere il consenso su un piedistallo più elevato rispetto alle leggi e alla Costituzione. Il caso Gregoretti però ci dice che almeno sull’immigrazione Salvini considera il potere derivatogli dal consenso popolare più importante rispetto all’obbedienza della legge. E la lettura delle 57 pagine di accuse contenute nella domanda di autorizzazione a procedere trasmessa alla presidenza del Senato a metà dicembre dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Catania è istruttiva su un fatto che riguarda un tema cruciale in una democrazia: l’idea che i voti ricevuti possano dare la possibilità a un politico di essere considerato al di sopra della legge.

 

Sarebbe bello che Salvini rispondesse punto su punto alle contestazioni mosse dalla procura di Catania esercitando il suo diritto alla difesa – il leader della Lega è accusato di sequestro di persona aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale, dall’abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per avere commesso il fatto anche in danno di soggetti minori di età – ma c’è da scommettere che nei prossimi giorni continuerà a non offrire argomentazioni sul fatto se abbia o no, nella sua qualità di ministro dell’Interno, “abusato dei suoi poteri, privato della libertà personale 131 migranti di varie nazionalità a bordo dell’unità navale Gregoretti della Guardia costiera italiana”. Se abbia o no “violato le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e le correlate norme di attuazione nazionali non consentendo, senza giustificato motivo, al competente Dipartimento per le libertà civili per l’immigrazione di esitare tempestivamente la richiesta di Pos, place of safety, presentata formalmente il 27 luglio 2019, bloccando la procedura di sbarco dei migranti e determinando così in modo consapevole la legittima privazione della libertà personale di questi ultimi, costretti a rimanere in condizioni psicofisiche critiche a bordo della nave Gregoretti ormeggiata nel porto di Augusta fino al pomeriggio del 31 luglio”. E se questo fatto, poi, sia stato o no “aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate” e se sia stato commesso o no “anche in danno di soggetti di minore età”.

 

“Se mi processeranno per aver difeso i confini, la sicurezza e l’onore del nostro paese, sarà come se processassero tutto il popolo italiano”, ripete da giorni Matteo Salvini. Ma quello che il leader della Lega tende a non dire ai suoi follower è che il problema di ciò che è successo con la nave Gregoretti – che tra l’altro è un problema ancora più grave rispetto a ciò che accadde con la nave Diciotti, perché la Diciotti era un mezzo attrezzato per specifiche operazioni di soccorso in mare, mentre la Gregoretti è una nave destinata all’attività di vigilanza, non è in grado di fornire un’adeguata sistemazione logistica a un così elevato numero di persone e non a caso ha accolto per diversi giorni i migranti sul ponte di coperta esponendoli agli eventi atmosferici senza che fossero presenti condizioni igenico-sanitarie tali da garantire a bordo la salute degli stessi migranti – ha a che fare con l’onore di un paese per le ragioni opposte a quelle suggerite dall’ex ministro.

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Salvini forse non lo sa, ma quando si parla di diritto del mare vi sono alcuni doveri a cui gli stati devono adempiere che hanno a che fare con il diritto alla vita e il rispetto della libertà e della dignità umana. Salvini forse non lo sa, ma l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Salvini forse non lo sa, ma le convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità pubblica (articoli 10, 11, 117 della Costituzione) e costituiscono un “rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna” (l’articolo 117 prevede che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali).

 

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Salvini forse non lo sa, ma nel 1982 una convenzione che norma il diritto del mare (Unclos: United Nations Convention on the Law of the Sea) ha sancito (a) che ogni stato debba “esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericoloso di vita quanto più velocemente possibile” e che (b) ogni stato costiero ha l’obbligo di “promuovere l’istituzione, l’attivazione e il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare”.

 

Salvini forse non lo sa, ma il concetto di “obbligo di collaborazione ai fini del soccorso in mare” cui fa riferimento la Convenzione appena citata è parte di altre due convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito nel 1974 (la Solas: Safety of Life at Sea) e nel 1979 (la Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il soccorso marittimi: la Sar, Search and Rescue). Salvini forse non lo sa, ma la convenzione di Amburgo, in particolare, obbliga gli stati “a garantire che sia prestata assistenza a ogni persona in pericolo in mare” e “a fornire le prime cure mediche o di altro genere e a trasferirla in un luogo sicuro”.

 

Salvini forse non lo sa, ma l’atteggiamento avuto sul caso Gregoretti con buona probabilità (siamo sempre garantisti) è in violazione non solo del diritto del mare ma anche di una legge fatta dallo stesso Salvini, “stante quanto previsto dall’articolo uno del decreto sicurezza bis convertito in legge l’8 agosto del 2019 secondo il quale il ministro dell’Interno può limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per ordini di sicurezza per motivi di ordine e sicurezza pubblica salvo che si tratti di naviglio militare”.

  

Salvini può solo dire che il popolo è con lui e che il consenso gli permette di fare ciò che vuole. Ma mentre lo dice e lo twitta, i pieni poteri sono lì che si manifestano e mostrano un politico intimamente convinto di un fatto pericoloso: che i voti ti possano mettere al di sopra della legge e che il mandato ricevuto dal popolo ti possa consentire di commettere alcuni reati. Il leader della Lega probabilmente sa bene di non avere elementi sufficienti per difendersi su basi giuridiche e per questo ha scelto di trasformare la sua strategia difensiva in una tappa della sua campagna elettorale.

 

Nel mondo anglosassone, i bravi politici in difficoltà quando si trovano nei guai tentano di diventare grandi e di dare il meglio di se stessi: when in trouble go big. In Italia, Matteo Salvini, ha dato continuità a una tradizione diversa: se sei in difficoltà, prova a sporcellare un po’ – when in trouble, go pig.

   

Il garantismo vale per tutti e vale ovviamente anche per Salvini, ma chiedere che l’ex truce venga giudicato per ciò che ha fatto da ministro non ha a che fare con la presunzione di innocenza. Ha a che fare semplicemente con l’abc di uno stato di diritto: non è sufficiente avere del consenso per essere al di sopra della legge. E’ la democrazia, bellezza.

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