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Nella memoria difensiva di Salvini sul caso Gregoretti c’è il nulla

Luca Gambardella

Il segretario della Lega presenta un documento che non prova nulla. Ma riesce nel suo unico obiettivo: trasformare un possibile processo in un manifesto da campagna elettorale

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Roma. Otto mail, tre paginette del contratto di governo, due lanci di agenzia. Sta tutta qui la memoria difensiva sul caso Gregoretti approntata alla bene e meglio e presentata ieri dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini alla Giunta del Senato. Il tutto accompagnato da una diretta Facebook del leader leghista: “Ho fatto il conto in queste vacanze, ho inchieste e processi aperti e se non mi conoscessi mi reputerei un delinquente. Possono processarmi e incarcerami, non me ne può fregare di meno”. Ma le pagine redatte dall’avvocato Giulia Bongiorno non rispondono nel merito a nessuna delle domande che davvero interessano il voto in Giunta, né provano – come vorrebbe fare Salvini – il coinvolgimento di altri ministri nella decisione di non fare sbarcare i 131 migranti rimasti a bordo della nave della Guardia costiera tra il 26 e il 31 luglio 2019. I senatori non dovranno stabilire se la decisione dell’ex ministro Salvini di bloccare tutti a bordo – e su cui il tribunale dei ministri di Catania chiede di indagare – sia stata presa di concerto con il resto del governo, ma se sia stata funzionale a tutelare un interesse dello stato. Per dimostrarlo, l’ex vicepremier si limita ad autocitarsi, ricordando nella memoria difensiva una sua audizione del novembre scorso (quindi successiva al caso Gregoretti, che risale a luglio) davanti al comitato parlamentare per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, in cui Salvini stesso fece un semplice resoconto delle misure intraprese per combattere l’immigrazione clandestina. E’ debole anche la seconda “prova” annoverata tra gli allegati: l’ex ministro menziona un rapporto del direttore generale del dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza (giugno 2018) che mette in guardia su possibili utilizzi della tratta dei migranti per trasportare jihadisti in Italia. Un avvertimento generico, mai confermato peraltro da nessuna indagine giudiziaria.

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Roma. Otto mail, tre paginette del contratto di governo, due lanci di agenzia. Sta tutta qui la memoria difensiva sul caso Gregoretti approntata alla bene e meglio e presentata ieri dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini alla Giunta del Senato. Il tutto accompagnato da una diretta Facebook del leader leghista: “Ho fatto il conto in queste vacanze, ho inchieste e processi aperti e se non mi conoscessi mi reputerei un delinquente. Possono processarmi e incarcerami, non me ne può fregare di meno”. Ma le pagine redatte dall’avvocato Giulia Bongiorno non rispondono nel merito a nessuna delle domande che davvero interessano il voto in Giunta, né provano – come vorrebbe fare Salvini – il coinvolgimento di altri ministri nella decisione di non fare sbarcare i 131 migranti rimasti a bordo della nave della Guardia costiera tra il 26 e il 31 luglio 2019. I senatori non dovranno stabilire se la decisione dell’ex ministro Salvini di bloccare tutti a bordo – e su cui il tribunale dei ministri di Catania chiede di indagare – sia stata presa di concerto con il resto del governo, ma se sia stata funzionale a tutelare un interesse dello stato. Per dimostrarlo, l’ex vicepremier si limita ad autocitarsi, ricordando nella memoria difensiva una sua audizione del novembre scorso (quindi successiva al caso Gregoretti, che risale a luglio) davanti al comitato parlamentare per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, in cui Salvini stesso fece un semplice resoconto delle misure intraprese per combattere l’immigrazione clandestina. E’ debole anche la seconda “prova” annoverata tra gli allegati: l’ex ministro menziona un rapporto del direttore generale del dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza (giugno 2018) che mette in guardia su possibili utilizzi della tratta dei migranti per trasportare jihadisti in Italia. Un avvertimento generico, mai confermato peraltro da nessuna indagine giudiziaria.

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Ma in fondo non è questo il punto vero della discussione, che è invece squisitamente politico. La gran parte della memoria di Salvini è incentrata sul tentativo di dimostrare che la decisione di non fare sbarcare i migranti sia stata presa collegialmente da tutto il governo, a partire dal premier Giuseppe Conte. Tentativo che però non coglie il bersaglio: nelle mail allegate non si fa mai riferimento, nemmeno con allusioni, a una scelta condivisa. Nei messaggi inviati tra due consiglieri diplomatici della presidenza del Consiglio dei ministri, funzionari del ministero degli Esteri e dell’Interno e Maurizio Massari, ambasciatore italiano alle istituzioni europee, si parla solo delle trattative avviate con l’Ue durante quei giorni concitati per arrivare a una redistribuzione dei migranti a bordo della Gregoretti. Ma che queste trattative fossero in corso era notizia di dominio pubblico già allora e, cosa più importante, non aiutano a rispondere alla domanda essenziale su cui invece vorrebbero indagare i giudici: chi, ed eventualmente in violazione di quale legge, ha dato l’ordine di non fare sbarcare i migranti al porto di Catania?

 

 

Non potendo difendersi su basi giuridiche, Salvini trasforma la sua memoria difensiva in un manifesto da campagna elettorale. E così cita – a ragione – le analogie tra le vicende Diciotti e Gregoretti per screditare il M5s e Conte: come è possibile dire che si era d’accordo con la Lega a non fare sbarcare nessuno dalla Diciotti e, a distanza di un anno, cambiare idea sulla Gregoretti? Salvini non ha altri elementi per difendersi se non quello di contrattaccare i suoi accusatori, puntando il dito contro quello che reputa un atteggiamento ipocrita da parte dei suoi ex alleati. Per farlo, inserisce tra gli allegati le tre pagine del contratto di governo siglato con il M5s in cui si promette di combattere il traffico di esseri umani. Così come le dichiarazioni pubbliche di Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede, rilasciate ai media nei giorni dello stallo sulla Gregoretti, in cui i due ministri grillini chiedevano che fosse l’Europa a farsi carico dei naufraghi. A Salvini non può sfuggire che parlare ai microfoni di uno studio televisivo non corrisponde a convocare una riunione del Consiglio dei ministri e a mettere nero su bianco una decisione politica. Ma all’ex ministro, come ha spiegato lui stesso su Facebook, tutto questo importa poco. Il voto in Giunta è previsto per il 20 gennaio, quello nell’Aula del Senato arriverà a febbraio. Sulla carta, i numeri sono sfavorevoli al segretario della Lega, che però si è detto pronto “a rischiare 18 anni di carcere”. La mossa successiva sarà quella di impersonare il ruolo della vittima, colpevole solamente di volere difendere i confini della sua patria. Violandone le leggi, forse, ma in fondo, “non me ne può fregare di meno”.

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