Un dettaglio di un murales di Banksy

Per fermare i populisti non basta l'Europa

Giuliano Ferrara

La Commissione boccia la manovra, una tempesta di mercato può complicare le cose per i demagoghi di Roma, ma per i gemelli del debito non sarà difficile mettere mercati e Unione nello stesso sacco dei nemici del popolo. Bel guaio

Decisamente l’Europa, intesa come Commissione della Ue, non è sexy. Il sorvegliante del Bilancio Moscovici è un socialdemocratico di buona stoffa, ma è stato messo lì dal presidente francese sconfitto Hollande, quello che ha archiviato il Partito socialista, un’epoca molto passata, e Dombrovskis, l’ex primo ministro lettone di centrodestra, ora al Mercato unico e alla Stabilità finanziaria, ha per sé modi impeccabili ma non l’immagine della forza e della rappresentatività politica. Visti in conferenza stampa, dopo l’inaudita decisione unanime di respingere la manovra del governo Conte e accoliti, sembrano due funzionari di un sistema di decisione e di valutazione tecnica dei bilanci neutro sulle politiche nazionali, tutto numeri e scostamenti di uno zero o di un uno virgola, vicino alle sostenibilità e insostenibilità di mercato dei debiti e dei deficit strutturali, vicino ai Trattati, distante dal popolo di cui invece si riempiono la bocca gli italiani di governo.

   

Non è sexy nemmeno il governo italiano, ma le due forze politiche in cui consiste hanno i voti, la maggioranza parlamentare, il trend dei sondaggi, il riscatto delle plebi dimenticate dalle élite. I commissari dell’Unione sono per lo meno seri, sanno argomentare la bocciatura, non travalicano i loro compiti di guardiani delle regole finanziarie di stato, agiscono con l’unanimità della Commissione, si rifanno alla parola data dal ministro Tria nel luglio scorso, la bocciatura e la crisi di fiducia ci stanno tutte, compreso l’invito al dialogo e gli esami di riparazione in tutte le materie, caso senza precedenti nella storia del potere sovranazionale. Ma se il governo nazionalpopulista di Roma, da tempo immemore in campagna elettorale e ben deciso a restarci, non accetterà le basi dell’esame severo che Bruxelles gli propone, le procedure di infrazione e eventuali sanzioni minacciano di non essere così minacciose, e di arrivare con tempi perfetti per dare una prova di debolezza alla vigilia di una elezione del Parlamento di Strasburgo, nel prossimo mese di maggio, teatro di scontro tra establishment tecnocratico senza cuore e gargarismi sentimentalpopolari di un esecutivo in lotta contro la povertà e per l’indipendenza della politica nazionale. Una tempesta di mercato finanziario potrebbe complicare le cose per i demogoghi di Roma, ma non sarà un gioco così difficile mettere mercati e Unione nello stesso sacco dei nemici del popolo. E’ assurdo, irrazionale, ma è l’unico conto che torna nella spericolata manovra dei gemelli del debito pubblico e nella logica della comunicazione imbizzarrita e nevrastenica punto com.

    

Non è il vaglio della Commissione o lo spread, almeno fino a una certa soglia di tollerabilità per risparmi e investimenti, che possono rendere sexy il progetto di settant’anni per la pace, la prosperità, la società aperta e il libero scambio. Con il mondo come gira, ci vorrebbero fatti politici di prim’ordine prodotti nelle vere capitali dell’Europa, che non sono Bruxelles e Strasburgo, e forse ormai nemmeno Francoforte, ma Parigi e Berlino. Tuttavia a Berlino batte “il cuore debole dell’Europa” (Economist) e Parigi fa la sua parte ma con mille pesanti problemi di stile, e sopra tutto nell’isolamento dall’altro e decisivo partner. Le agenzie di rating diranno la loro, posto che vengano messe in condizione di giudicare l’ingiudicabile dallo scaltro eterno italiano, visto che con le pensioni Moody’s è stata già truffata, le hanno fatto credere che la quota cento vale solo per un anno, a quanto pare, ma se la partita elettorale e politica si dovesse giocare fra il team dei commissari e delle agenzie, fiancheggiato dai progressisti e europeisti cosiddetti, e lo squadrone dei nazionalisti sovranisti populisti, che oppongono un bel “me ne frego” alle “inique sanzioni”, il risultato sarebbe più che incerto. Ieri si è capito che i manipolatori politici dei nostri conti, dare e avere, sono un branco di simulatori e di fedifraghi, ostili a ogni disciplina sovranazionale ma golosi del piede in due scarpe, nell’euro e contro l’euro, mentre i guardiani dei trattati e delle norme hanno alle spalle vecchie procedure che sanno governare, ma non governi che sappiano o possano fare politica e agire come argine o piattaforma per il contrattacco. Bel guaio.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.