Maurizio Martina, Luigi Di Maio e Roberto Fico (foto LaPresse)

Da Empoli ci spiega perché il Pd non può farsi comprare dal M5s

David Allegranti

L’intellettuale a capo del think tank renziano: “L’alleanza? Come la fusione Aol-Time Warner del 2000: una catastrofe”

Roma. “Sa qual è stata la fusione più catastrofica della storia del business americano? Quella fra Aol e Time Warner di inizio Duemila”. La metafora di Giuliano da Empoli, scrittore e intellettuale vicino all’ex segretario del Pd Matteo Renzi, serve a descrivere i rischi della possibile “fusione” fra Pd e M5s. “Erano i tempi della prima bolla di Internet, Aol era una start up, valeva 250 miliardi di dollari e aveva quotazioni altissime; Time Warner era un vecchio gruppo tradizionale e prestigioso, editore di Time magazine, Warner Bros, Cnn e altre cosette del genere. A tutti sembrò un’idea geniale farli fondere. Ci fu un deal super celebrato ma 3-4 mesi dopo scoppiò la bolla di Internet, Aol arrivò a valere 20 miliardi e quell’accordo si trasformò in una trappola infernale. Morale della favola: fu una catastrofe a colpi di battaglie legali, finita nel 2009 con il divorzio fra le due compagnie”.

 

Ecco, stando alla metafora di da Empoli, Aol è il M5s e Time Warner è il Pd. “E’ ciò che rischiamo in questo momento. Fondere o quantomeno intraprendere la costruzione di una maggioranza politica è una pessima idea, perché Pd e M5s sono due culture politiche radicalmente antitetiche. Da una parte c’è l’iper politica del Pd, dall’altra l’antipolitica e non è un caso se il Pd ha concentrato tutta la sua azione politica e l’ultima campagna elettorale proprio contro i Cinque stelle. Ma ammettiamo pure per assurdo che non sia una cattiva idea e prendiamola dal punto di vista puramente tattico”. Anche così non funzionerebbe, dice da Empoli. “Abbiamo la tendenza a trattare i fenomeni politici come se fossero irreversibili. Tuttavia, come spiega magistralmente Moises Naim nel suo libro sulla ‘Fine del potere’, viviamo in un mondo in cui i cicli di presa e di perdita del potere sono accelerati. Non siamo dunque in una situazione statica”.

 

E in questo momento, “c’è una bolla grillina. Il M5s è paurosamente sopravvalutato dalla borsa della politica e a mio mio avviso farsi scalare adesso è una follia. Come minimo aspetterei quotazioni più normali. Il che non significa che il Pd torni a crescere per conto suo. La crisi del partito c’è, lo vediamo in Europa qual è la situazione dei socialdemocratici”. Al momento però “se il Pd si alleasse con i Cinque stelle accetterebbe di cedere la leadership del campo progressista a questo misterioso ectoplasma. Dovremmo accettare che la struttura del potere in Italia si è costituita secondo un nuovo bipolarismo estremista Lega-Cinque stelle, pronto ad assorbire le propaggini: Forza Italia e i moderati di centrodestra da una parte, il Pd dall’altra. Se ci collochiamo in una prospettiva di questo genere, rinunciamo a confrontarci con il vero problema che abbiamo di fronte: la completa assenza di una rappresentanza forte dei riformisti e dei moderati. Rinunceremmo a costruire un’alternativa agli estremisti, pensando di cooptarli facendosi in realtà cooptare, partendo da una posizione di minoranza. Sarebbe uno schema addirittura peggiore della linea Bersani-Gotor di un paio d’anni fa. Anzi quella al confronto era una stella polare di progressismo moderato e ragionevole”.

 

Dunque, per da Empoli quale sarebbe la prospettiva più accettabile? “Fermo restando che il mio è il punto di vista di uno che ha perso le elezioni e quindi tutte le alternative sono molto lontane dallo scenario che avrei desiderato, fare politica significa scegliere tra le opzioni che ci sono. Penso che l’unica maggioranza politica possibile sia quella fra 5 stelle e Lega, ma se questa maggioranza politica non c’è trovo assurdo che si chieda al Pd di immolarsi per senso di responsabilità costituendo un governo politico con i Cinque stelle. E quindi credo che se non ci fosse una maggioranza politica, tutte le parti – incluso il Pd – dovrebbero fare lo sforzo di responsabilità di dare vita a un governo, di nessuno più che di tutti, che metta alcuni punti in agenda, tra i quali immaginerei la scrittura di una nuova legge elettorale. Se si arriva a questo, su spinta di Sergio Mattarella, effettivamente il Pd dovrebbe dire di sì, ma solo nell'ambito di una maggioranza molto larga”.

 

Anche perché il Pd, dice da Empoli, oggi “ha bisogno di tempo per ricostruirsi e per valutare gli errori fatti, ed è questa una delle ragioni per cui non ha senso voler tornare al governo nell'immediato ad ogni costo. C’è però a mio avviso una deadline: nella primavera-estate dell’anno prossimo è possibile che cominceremo a ballare, quando verrà meno lo scudo della Banca centrale europea. Adesso ci possiamo permettere ancora per un po’ i siparietti ai quali stiamo assistendo. Un po’ perché la nostra situazione è migliorata, un po’ perché c’è il bazooka di Mario Draghi. Con ogni probabilità, però, nel giro di un anno ci troveremo problemi assai più seri da affrontare”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.