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Tornare al voto subito. Contro la truffa del governo Pd-M5s

Claudio Cerasa

L’unico governo possibile tra Pd e grillozzi è un governo impossibile: sì al Jobs Act, alla legge Fornero, al garantismo, alla democrazia rappresentativa. Se i partiti sono distanti sui doveri, meglio cambiare canale. Meglio il voto. Perché si può fare

Il punto centrale da cui partire non è solo se sia giusto o se sia sbagliato farlo. Se ci pensate, è tutto più semplice: scusate, ma per fare che? Il dibattito sulla possibilità che il Partito democratico possa accettare di far partire un governo con il Movimento 5 stelle è viziato da un problema che riguarda l’oggetto del confronto tra chi sostiene che sia giusto mettere il Pd al servizio del grillismo e chi sostiene che invece farlo sia un errore clamoroso.

 

 

Il problema di fondo è che far nascere questo governo, per un partito fieramente europeista, fieramente antisovranista, fieramente antiprotezionista, fieramente alternativo al maoismo digitale, potrebbe avere un senso solo a condizione che il M5s accetti l’impossibile, ovvero accetti di dire alcune cose che un partito nato sull’onda eversiva di un vaffanculo alla democrazia rappresentativa purtroppo – purtroppo per l’Italia, non per il Pd – non può permettersi di dire. Un governo con il M5s, per un partito come il Pd, potrebbe avere un senso nel caso in cui il M5s avesse il coraggio di sbianchettare ancora un po’ il suo programma elettorale.

 

Di Maio, lo abbiamo visto, è arrivato a dire che governare con il Pd non sarebbe un tabù e che ricevere il sostegno esterno di Forza Italia non sarebbe uno scandalo (fino a qualche settimana fa, Roberto Fico affermava che “il Partito democratico è il pericolo numero uno per il nostro paese”) e dunque ci si può aspettare tutto. Ma ci si può aspettare che un movimento nato per mandare a quel paese la riforma del lavoro, smantellare la riforma delle pensioni, mettere mano alla riforma sui vaccini, considerare innocente fino a prova contraria solo gli imputati graditi alla Casaleggio Associati, incoraggiare la fogna del processo mediatico, considerare l’Europa non un alleato da difendere ma un nemico da combattere, possa rimangiarsi tutto per far nascere un governo del cambiamento? Come è evidente, l’unico governo possibile con il M5s, per il Pd, sarebbe un governo non-possibile, e una volta scoperte le carte dei grillozzi un partito fieramente europeista, garantista, mercatista, democratico avrebbe il dovere e forse persino la responsabilità di spiegare al presidente della Repubblica che se l’unica alternativa al governo truffa sono le elezioni allora nessun dubbio: ben vengano le elezioni.

 

Nel dibattito quotidiano l’idea del voto anticipato viene utilizzata spesso come se fosse solo una forma di spin utile a terrorizzare i nuovi parlamentari – accettare qualsiasi cosa per non rischiare il posto con elezioni anticipate. Ma se ci si pensa bene non c’è una sola ragione convincente che possa dimostrare che in mancanza di un governo naturale, quello tra i vincitori, sia necessario far nascere a tutti i costi un governo. Far avvicinare il Pd al 5 stelle alle condizioni del 5 stelle sarebbe una follia che incentiverebbe un bipolarismo pazzotico e suicida formato da un populista di governo e un populista di opposizione. Ma allo stesso tempo anche l’alternativa finale, il famoso governo del presidente, sarebbe, con tutto il rispetto, un’alternativa farlocca. Primo: un governo d’emergenza si fa quando si è in emergenza, ma dato che l’emergenza italiana è una fake news alla quale non credono nemmeno i grillozzi (siamo così in emergenza che Salvini e Di Maio hanno accettato senza battere ciglio che fosse l’esecutivo uscente a preparare il Def) un esecutivo di emergenza sarebbe una clamorosa fake story.

 

Secondo: un governo d’emergenza che nasce per il fallimento dei vincenti, Lega e M5s, diventerebbe un governo sostenuto prevalentemente dai perdenti, Pd e FI, ma mettere il paese nelle mani di un patto del “Nazarino” sarebbe un po’ troppo considerando il voto del 4 marzo. Dunque – a meno di un ritorno di fiamma tra Salvini e Di Maio dopo le regionali – resta solo una scelta. Pura. Genuina. Andare al voto subito per sfidare i populisti, dimostrare la loro incapacità, la loro ipocrisia, la loro pericolosità e capire se dopo lo spettacolo indecoroso delle consultazioni gli elettori utilizzeranno ancora una volta le elezioni come un surrogato di X-Factor. Ha ragione chi dice che non si può rinunciare a discutere anche con chi la pensa in modo diverso da te. In un sistema proporzionale, le formule creative hanno un senso se mettono insieme partiti distanti sui diritti ma vicini sui doveri. Quando i partiti sono vicini sui diritti ma distanti sui doveri è meglio cambiare canale. Meglio pensare a un’alternativa. E l’alternativa giusta oggi ha solo un nome possibile: elezioni.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.