La Camera dei Deputati (foto LaPresse)

Italicum addio, il No ci regala una controriforma proporzionale

Luciano Capone

Qualunque sarà la decisione della Corte costituzionale, avremo parlamenti più frammentati e governi più instabili

Roma. La conseguenza più rilevante della sconfitta del referendum, forse più delle inevitabili dimissioni del governo Renzi, è il destino della legge elettorale. L’Italicum, insieme alla riforma costituzionale, era il pilastro dell’architettura istituzionale renziana, quella di una democrazia competitiva e decidente, in grado di garantire rappresentatività e governabilità e di indicare chi governa “già la sera delle elezioni”. In un periodo storico di avanzata delle forze populiste e con un sistema partitico ormai tripolare, l’Italicum, replicando in una certa misura il sistema elettorale dei sindaci, consentiva una competizione aperta al primo turno e un premio di maggioranza legittimato dal voto al ballottaggio che garantisse la governabilità. Tra i più strenui critici di questa legge c’è sempre stato il Movimento 5 stelle che, pur di fronte all’unico meccanismo elettorale che gli avrebbe permesso di vincere le elezioni e governare senza fare alleanze, ha sempre definito l’Italicum una legge “fascista”, “antidemocratica” e “incostituzionale”. Anche la Lega nord di Matteo Salvini, preoccupata di restare fuori dal Parlamento, definiva la legge elettorale “una schifezza”. Ma oltre agli attacchi degli oppositori, questo sistema elettorale, inizialmente approvato dalla maggioranza di governo e da Forza Italia, ha pian piano iniziato a perdere sostenitori anche tra le forze politiche che l’hanno votato. Prima alcuni dissidenti del Pd, poi, dopo la rottura del patto del Nazareno, la stessa Forza Italia e successivamente altri pezzi della minoranza Pd rappresentati da Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, contrari alla fiducia posta dal governo sul provvedimento.

Durante la campagna referendaria il fronte anti Italicum si è ulteriormente allargato alle forze preoccupate per la possibilità che l’unione della riforma costituzionale e della legge elettorale (il famigerato “combinato disposto”) avrebbe consegnato la Camera e il paese a una forza politica con un consenso minoritario. Le amministrative, che hanno mostrato un M5s favorito dal sistema a doppio turno, hanno poi alimentato il timore che una legge pensata per disinnescare le ali estreme (un po’ come accade in Francia con il Front national) avrebbe finito per agevolarle. Così le richieste di revisione dell’Italicum sono arrivate da altri pezzi della minoranza del Pd e anche dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, uno dei maggiori sponsor delle riforme renziane, che proprio in un’intervista al Foglio chiese per la prima volta una revisione della legge elettorale “nel senso di non puntare a tutti i costi sul ballottaggio”. Poco prima del referendum, perfino Renzi ha siglato un accordo con la minoranza Pd per modificare punti fondamentali della legge. Sembra che a difendere l’Italicum sia rimasto solo il professor Roberto D’Alimonte, che di questa legge è stato l’ispiratore.

Dopo il referendum, l’Italicum e l’idea di paese che rappresenta non piacciono più a nessuno tranne paradossalmente al M5s che, dopo averla definita “fascista”, ha messo da parte la sua proposta di legge elettorale proporzionale “votata online dagli iscritti” e ora suggerisce di introdurre l’Italicum anche per il Senato. Alla fine a decidere sulle sorti dell’Italicum sarà la Corte costituzionale, che il 24 gennaio discuterà dei possibili profili di incostituzionalità della legge. Se i giudici costituzionali dovessero decidere di cancellare il premio di maggioranza e il ballottaggio, ne verrà fuori una legge proporzionale simile a quella del Senato (il vecchio Porcellum già modificato da un’altra sentenza della Consulta), che segnerà il ritorno per via giudiziaria a un sistema simile alla Prima Repubblica. Se invece l’Italicum verrà confermato così com’è, il sistema istituzionale post referendario si ritroverà con un bicameralismo perfetto (che nessuno ama) e una legge elettorale imperfetta (che nessuno desidera), maggioritaria alla Camera e proporzionale al Senato. L’unica via d’uscita, viste le forze in campo, sarà in senso proporzionale. In ogni caso avremo parlamenti più frammentati e governi più instabili: una controriforma. 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali