L'ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (foto LaPresse)

“Così si può costruire un nuovo patto per l'Italia”. Intervista a Napolitano

Claudio Cerasa
“Maggioranza e opposizione devono ragionare su un percorso condiviso per definire un nuovo patto per il paese. L’Italicum? Il ballottaggio non è a tutti i costi”. Brexit, jihad, Turchia, referendum. Parla l’ex capo dello stato.

Roma. “Uhm, se dovessi consigliare un libro per l’estate a Renzi, Di Maio e Berlusconi cosa farei? A Renzi regalerei ‘Il capo e la folla’ di Emilio Gentile. Che potrebbe interessare anche Berlusconi. A Di Maio consiglierei di leggere qualcosa che esprima al meglio regole  e valori della democrazia rappresentativa, della forma di governo parlamentare, come la raccolta di scritti di Leopoldo Elia, ‘Costituzione, partiti, istituzioni’. Naturalmente auguro a tutti e tre anche di leggere qualche libro meno greve…”.
Giorgio Napolitano ci riceve al quarto piano di Palazzo Giustiniani, a Roma, dietro a una scrivania di legno ricoperta di libri, fogli di giornale sottolineati, ritagli di rassegne stampe cerchiati di blu, e accetta di chiacchierare a lungo con il Foglio su alcuni argomenti importanti che partono dalle conseguenze della Brexit, arrivano fino alla minaccia del terrorismo islamico (contro il quale, secondo l’ex capo dello stato, l’occidente deve reagire come di fronte all’offensiva nazista, senza ricorrere a definizioni troppo sommarie) e si concludono con alcuni ragionamenti che si legano al destino di questa legislatura, e dunque anche al referendum costituzionale, riassumibili in una formula esplicitata dallo stesso presidente emerito: “Maggioranza e opposizione – dice con convinzione Napolitano – devono ragionare su un percorso condiviso per definire urgentemente un nuovo patto per l’Italia”. “In questa nuova fase storica – sostiene l’ex capo dello stato – l’Italia deve essere cosciente del suo ruolo nel nuovo contesto europeo. Il nostro paese è uno dei tre grandi padri fondatori dell’Europa unita ed è necessario che oggi si continui nella strada ormai imboccata dal governo: in Europa, l’Italia si fa portatrice di proposte per l’Unione, non di rivendicazioni per se stessa. La Germania e soprattutto la Francia, che sta attraversando una fase di conflitto politico profondo e di oggettivo indebolimento della capacità dei vertici dello stato di dare una direzione al paese, non possono più pensare di guidare l’Europa agendo in coppia: associare più strettamente l’Italia alla formazione degli indirizzi dell’Unione è ormai una necessità obiettiva.  La Brexit spinge i 27 dell’Unione a confrontarsi senza alibi con una prospettiva di integrazione più conseguente, che è la condizione per superare spinte centrifughe destinate a lasciare campo aperto a coloro che promuovono in Europa una miscela di nazionalismo e populismo”. 

 

Il riferimento del presidente emerito è a quanto accaduto in Inghilterra, ma il pensiero dell’ex capo dello stato si proietta rapidamente sulla scena italiana. Napolitano, come è noto, è un sostenitore convinto della riforma costituzionale e considera il passaggio del voto del prossimo autunno importante non solo per il buon funzionamento della democrazia ma anche come prova, per il nostro paese, di mostrare fuori dai suoi confini la capacità concreta di riformare se stesso. “Il terrorismo psicologico messo in circolo da qualche propagandista del no su specifici difetti e su presunti rischi della riforma approvata dal Parlamento tende a nascondere una verità che a me sembra elementare. E’ dal 1983 che il Parlamento cerca invano di riformare la seconda parte della Costituzione e sarebbe una sciagura farsi sfuggire oggi l’occasione di superare il bicameralismo paritario, non dando ai governi del futuro maggiore stabilità, a partire dal momento della fiducia in un solo ramo del Parlamento, e garantendo maggiore linearità e certezza di tempi al  processo legislativo. Solo così si può uscire finalmente da quella spirale perversa di esecutivi che mortificano il Parlamento a colpi di decreti, di voti di fiducia e maxi emendamenti. Il grande Leopoldo Elia direbbe che è arrivato il momento di smetterla di invocare una nuova fase costituente o di essere minimalisti. E oggi non essere minimalisti significa avere la consapevolezza che le molte strozzature che impediscono al nostro paese di essere al passo con i tempi sono direttamente collegate all’incapacità che ha avuto il nostro sistema politico e istituzionale di autoriformarsi. E schierarsi per il no non significa schierarsi contro una riforma imperfetta, ma contro la possibilità che il nostro paese entri pienamente in una fase storica importante: quella in cui finalmente portare avanti molteplici riforme necessarie e già troppo a lungo ritardate”.

 

Secondo Napolitano, l’iniziale personalizzazione del referendum voluta da Renzi è stata negativa – “era meglio se non avesse parlato delle conseguenze per se stesso, perché il referendum non è pro o contro Renzi ma è a favore o contro una svolta per il complessivo progresso dell’Italia”. Nonostante tutto il presidente emerito si dice ottimista rispetto al risultato della consultazione d’autunno, che sarà, egli dice, “decisiva per permettere a questo governo di portare avanti riforme importanti che mancano all’appello o sono state solo avviate: la riforma della giustizia, un piano forte sulla crescita, ponendo l’accento sulla produttività, e una piena attuazione di leggi già approvate come quella sulla Pubblica amministrazione e sul Jobs Act”. Chiediamo al presidente emerito se, per come è fatta questa legislatura, sia possibile o no immaginare che il governo, in caso di vittoria al referendum, vada avanti con una maggioranza risicata come quella di cui gode oggi. Napolitano capisce dove vogliamo arrivare e imposta il suo ragionamento così. “Alla luce di come è cominciata questa legislatura per effetto del risultato elettorale del 2013, è ovvio che una strada di alleanza tra i due poli di allora era necessaria. Era così nel 2013, ed è così oggi, seppure le forze in campo si sono da tempo divise e si sono venuti formando nuovi partiti o gruppi parlamentari. Non voglio entrare nel merito rispetto al tema di come debba essere strutturata la maggioranza che governa il paese, ma posso dire che condivido l’idea che su alcuni temi i maggiori schieramenti debbano trovare una condivisione delineando un nuovo patto per l’Italia, che a mio avviso andrebbe articolato su grandi temi obbligati, sui quali è essenziale che non ci siano contrapposizioni: il ruolo del nostro paese in Europa, un piano per la crescita, l’occupazione, il mezzogiorno; un intervento risoluto e condiviso rispetto al tema della prevenzione del terrorismo e della mobilitazione per sconfiggerlo; una unione di intenti rispetto alla politica dell’immigrazione e dell’asilo”. Chiediamo al presidente emerito se, al di là delle maggioranze, sia possibile immaginare anche un intervento sulla legge elettorale, e Napolitano non si sottrae alla domanda.

 

“Nel gennaio di quest’anno, ben prima dei risultati delle amministrative, invitai il governo a prestare attenzione alle preoccupazioni espresse da varie parti sulla legge elettorale e sugli equilibri costituzionali. Oggi bisogna essere sinceri e dire che rispetto a quando l’Italicum è stato concepito sono cambiati i tempi. Il tripolarismo, a mio modo di vedere, è oggi una nuova caratterizzazione del nostro sistema politico, e nella frammentazione che è venuta crescendo  tutti e tre i poli possono essere competitivi e ambire a raggiungere la guida del governo. Una revisione del sistema elettorale credo sia da considerare, nel senso di non puntare a tutti i costi sul ballottaggio, che rischia, nel contesto attuale, di lasciare la direzione del paese a una forza politica di troppo ristretta legittimazione nel voto del primo turno. Vedo che anche il presidente del Consiglio non ha escluso che vi possa essere una qualche modifica all’Italicum, ma mi sembra riduttivo dire semplicemente che deve essere il Parlamento, e dopo il referendum,  a occuparsene. Renzi è premier, certo, ma è anche segretario del Pd, e una modifica della legge, se ci deve essere, non può che avvenire anche in base a un’iniziativa politica che si imperni sui gruppi parlamentari del partito guidato dallo stesso premier”. Napolitano non ha una precisa legge alternativa da suggerire, ma ha in mente un modello che con le opportune, essenziali modifiche potrebbe forse trovare più semplicemente, in Parlamento,  una “larga convergenza”. E la legge in questione è quella che prende il nome del presidente della Repubblica: la legge Mattarella. Il patto per l’Italia potrebbe nascere anche da qui, forse, ma l’intesa che ha in mente il presidente emerito nasce non solo da esigenze istituzionali, ma anche da istanze di carattere più generale. Il terrorismo, innanzitutto.

 

“Purtroppo – dice Napolitano – non possiamo tapparci gli occhi e nasconderci la realtà. L’Italia è sulla stessa barca sulla quale si trova l’Europa, e non dobbiamo farci troppe illusioni: non godiamo di qualche esenzione particolare ma siamo un paese esposto ad attacchi spietati da parte dei fondamentalisti islamici. Siamo in una guerra, in un conflitto bellico diverso rispetto a quelli che abbiamo conosciuto nel passato, ma come succede nelle guerre quando il nemico ti colpisce non bisogna arretrare: occorre portare avanti con tutti i mezzi possibili la lotta per bloccare la sua espansione territoriale e la sua aggressiva diffusione come terrorismo selvaggio. Contro il presunto Stato islamico non si può esitare e personalmente mi ritrovo nelle parole dell’ex ministro ombra dei Labour Hilary Benn, che intervenendo in Aula qualche mese fa a sostegno della decisione dell’allora governo Cameron di attaccare l’Isis per via area, disse che oggi le forze occidentali devono muoversi e organizzarsi con un tipo di schieramento analogo a quello che si costruì ai tempi della minaccia nazista. Sottoscrivo”. In questo scenario, la Turchia di Erdogan, secondo Napolitano, dovrebbe schierarsi in modo ben più netto e deciso nella coalizione anti Isis. Ma per come si stanno mettendo le cose, secondo il presidente emerito, è comprensibile che ci sia qualcuno che ragioni sulla compatibilità tra la stretta autoritaria in atto in Turchia e la sua appartenenza alla Nato. “Se dovesse davvero rientrare in vigore la pena di morte, cesserebbe senz’altro qualsiasi negoziato per l’avvicinamento della Turchia all’Unione europea. Non so dire quale sarà il destino di questo paese, ma credo che l’Europa e l’occidente abbiano il dovere di vigilare seriamente sull’evoluzione della Turchia. Occorre essere fermi contro l’integralismo e il fanatismo religiosi. Occorre far capire ai paesi che manifestano ambiguità rispetto ai capisaldi dello stato di diritto che non li si può considerare a prescindere da ciò come “indispensabili” per l’Europa. Comunque, in uno scenario mondiale altamente critico e problematico, c’è da ribadire che la lotta contro il terrorismo fondamentalista islamico, e più in generale il successo nell’affrontare le maggiori sfide globali, non avranno futuro se America, Europa e Russia non troveranno l’intesa indispensabile, a cominciare dalla soluzione della tragica crisi siriana”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.