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Cosa accomuna ucraini e iraniani. Nella loro scelta intrepida c'è l'amore per la libertà

Adriano Sofri

Un legame autorizzato al primo sguardo dal contesto: nel tempo in cui gli ucraini si battono sul fronte e le persone libere dell’Iran tengono le strade, scioperano, cantano e sfidano i proiettili e la forca, la Russia di Putin e l’Iran di ayatollah e pasdaran sanciscono l’alleanza strategica

L’altra sera sulla 7 era ospite di Concita De Gregorio, in un programma dedicato ai libri, Maya Sansa, per parlare delle donne iraniane, della loro persecuzione e della loro rivoluzione. Ci sono capitato per caso, e ho perso tutta una parte. Peccato, Maya Sansa è una donna molto brava e diceva cose molto belle. L’ho sentita interrogarsi su che cosa spinga le ragazze e i ragazzi e tanta gente nell’Iran curdo, farsi, baluci, ad affrontare così impavidamente la morte. Noi, diceva, non sappiamo più immaginarlo: gli ultimi a mostrarsi pronti a dare la vita per una causa nel nostro mondo sono stati forse i partigiani… Mi ha colpito: perché c’è da mesi, nel centro dell’Europa, un popolo, una sua gran parte, pronto a dare la vita per resistere a un invasore e ricacciarlo indietro, lui e l’idea della vita cui vorrebbe asservirlo. Come mai non è venuto in mente a una persona sensibile come Maya Sansa? Forse per il modo militare, tecnologicamente armato, che connota la difesa ucraina? Certo è, almeno finora, una gran differenza dalla ribellione iraniana, che è nonviolenta e guidata da donne, quelle che in Ucraina sono esonerate dai combattimenti se non nei (numerosi) casi volontari. Tuttavia a Sansa è venuto in mente il paragone con la Resistenza partigiana, che era sia pur irregolarmente militare e armata, prevalentemente maschile benché forte di una partecipazione femminile, e inoltre fornita di armi da regolari e potenti forze militari alleate. E non combattevano una guerra per delega ma la guerra per la propria libertà, come l’Ucraina oggi. 

Mi importa perché, al contrario, trovo un legame obiettivo, come si dice, fra la resistenza ucraina e la rivoluzione iraniana, e mi augurerei che il legame fosse reso soggettivo e consapevole. Lo autorizza al primo sguardo il contesto: nel tempo in cui gli ucraini si battono sui fronti e tengono duro nella città, nelle case, nell’esilio, e le persone libere dell’Iran tengono le strade, scioperano, cantano e sfidano i proiettili e la forca, la Russia di Putin e l’Iran di ayatollah e pasdaran sanciscono l’alleanza strategica, la “piena partnership militare”, già sperimentata servendo in Siria alla tirannide del boia al Assad. Dunque sono i droni e missili iraniani forniti all’esercito russo a colpire e distruggere le fonti di energia, luce, riscaldamento, l’acqua, i magazzini, da cui dipende la sopravvivenza della popolazione civile ucraina. E, reciprocamente, si prepara l’invio dei caccia russi Sukhoi 35, oltre che degli ultimi elicotteri e dei sistemi contraerei più spinti all’Iran. I rispettivi armamenti vengono scambiati insieme ai brevetti che li rendono fabbricabili nei due paesi. C’è un’alleanza che si fa sempre più stretta fra Russia e Iran e una ancora quasi inavvertita fra la gente iraniana e ucraina che si battono per la libertà. Oggi di colpo il resto del mondo ha imparato che in farsi libertà si dice Azadì – in ucraino si dice, come in russo, Svobòda (o Vòlia). 

Ad accomunare oggi ucraini e iraniani, sia pure distinguendovi la parte diversa che vi tiene l’oppressione e la rivendicazione della libertà femminile, c’è la disposizione a dare la vita per una causa. Si può dire meglio: a dare la vita per la vita. Jin, Jiyan, Azadi – donna vita libertà. Il secondo termine del trinomio iraniano è Jiyan: dunque proprio così, dare la vita per la vita. Non basta infatti la disposizione a dare la vita, e può succedere che sia la vocazione peggiore. L’islamismo jihadista ne ha offerto e continua a offrire un esempio, e si può propriamente dirlo dare la vita per la morte. Il punto è la libertà. Chi creda che gli ucraini si battano per un fanatismo o per un gregarismo sciovinista, o per delega di burattinai stranieri e potenti – come le ragazze iraniane nella versione degli ayatollah – non vedrà un’amicizia possibile fra la sponda del Dnipro e le strade di Teheran. Chi sappia riconoscere nella loro scelta intrepida l’amore per la libertà può farsi un’idea di ciò che potrebbe diventare di nuovo attuale per lei, per lui.

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