Manifestazione a favore della scarcerazione di Julian Assange a Londra (LaPresse) 

piccola posta

In difesa di Assange: due motivi per cui l'hackeraggio è buon giornalismo

Adriano Sofri

Aldo Grasso sul Corriere rimprovera a "Presa diretta" di aver sposato senza riserve la posizione di Wikileaks. Ma la sua parzialità o faziosità non riduce di un millimetro l’interesse delle rivelazioni sulle malefatte degli Usa

Ho un supplemento alla Piccola Posta sul programma di Iacona (ed Elena Marzano, Elisabetta Camilleri e Massimiliano Torchia) dedicato ad Assange, dopo aver letto l’autorevole recensione di Aldo Grasso per il Corriere. Grasso rimprovera agli autori di aver sposato senza riserve la versione di Assange, evitando “qualsiasi accenno alla sua forte simpatia per i governi autoritari, dalla Russia ai regimi latinoamericani, al ruolo di Wikileaks nella campagna di disinformazione della Russia nei confronti di Hillary Clinton”, e ignorando libri come quello di Andrew O’Hagan, “La vita segreta”, 2017, che presentano Assange “come un piccolo despota, incoerente, bugiardo, viziato, paranoico, una sorta di rovescio grottesco delle istituzioni che attacca”.

Ricordo che un ritratto non più benevolo emergeva dal film di Bill Condon, “Il quinto potere”, 2013, basato su altri due libri, “Inside WikiLeaks. La mia esperienza al fianco di Julian Assange nel sito più pericoloso del mondo” di Daniel Domscheit-Berg, già suo braccio destro, e “Wikileaks. La battaglia di Julian Assange contro il segreto di stato”, di Luke Harding e David Leigh, ambedue del Guardian. È noto inoltre che Edward Snowden ha trovato rifugio in Russia. 

Ho un’obiezione: l’eventuale parzialità o faziosità o peggio di Assange può essergli addebitata se si sia tradotta nel silenzio o nella reticenza sulle malefatte russe o di altre cattive compagnie, ma non riduce di un millimetro l’interesse dei chilometri di rivelazioni sulle malefatte degli Usa (e di altri numerosi stati e dei loro Servizi), se risultino veridiche. 

Grasso conclude chiedendo, retoricamente: “L’hackeraggio è grande giornalismo?”. Risponderei, non retoricamente: dipende. L’hackeraggio che mette a disposizione del pubblico mondiale documenti autentici del modo di azione illegale e sleale degli stati, tanto più di quelli che si vogliono democratici, e dei loro servizi segreti, è una fonte formidabile di giornalismo, come mostra l’uso che ne hanno fatto il New York Times, il Guardian, lo Spiegel, il Monde e il Pais, e tanti altri. Wikileaks ha replicato all’argomento dei rischi cui le rivelazioni esporrebbero informatori e militari sul campo, che non c’è stato un solo caso in cui si siano realizzati.

Infine, vorrei richiamare un dettaglio che a Grasso dovrebbe piacere, affascinante come un dilemma di filosofi sofisti: come si considererà l’hackeraggio che permette di svelare la registrazione permanente, segreta e illegale, dei movimenti e delle parole di Assange e dei suoi interlocutori nel ripostiglio dell’ambasciata ecuadoregna, lungo anni (e infine pubblicata dal Pais)? Chi ha spiato chi? Somiglia un po’ al paradosso del mentitore, no? Potremmo forse concordare che, simpatia o antipatia di Assange, c’è un uomo in una galera inglese minacciato di una galera senza scampo americana contro il quale sta la potenza accanita degli Stati Uniti e della loro influenza, fatta pesare platealmente. Non i soli Stati Uniti, ma mezzo mondo contro Julian Assange: sembra una buona ragione per mettere il proprio peso di piume sul suo piatto della bilancia.