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La metà dei militari Usa all'aeroporto di Kabul basterebbe a sostenere le forze afghane

Adriano Sofri

La ritirata americana è stata una diserzione totale, senza alcuna contropartita, e ha coinvolto in questa vergogna l’intera alleanza internazionale. Nessuno ha fatto niente per rivendicare voce in capitolo

Gli americani hanno impegnato, se non sbaglio, sei mila militari per l’impiego dell’aeroporto di Kabul. La metà o anche solo un terzo di quel numero sarebbe bastato a sostenere le forze afghane, e prima di tutto a non privarle dell’uso di aerei e droni. La ritirata americana è stata una diserzione totale, senza alcuna contropartita, e ha messo il paese e lo stesso esercito afghano in balia delle bande talebane. E ha coinvolto in questa vergogna l’intera alleanza internazionale. La quale, per parte sua, non aveva fatto niente per rivendicare una voce in capitolo, nonostante avesse sostenuto costi umani e materiali enormi. Intervenire in un paese altrui è impresa dubbia e impegnativa; uscirne vent’anni dopo è ancora più impegnativo. 

 

Ieri ho ascoltato su Sky il generale (in pensione) Giorgio Battisti, che fu al comando della prima missione del contingente italiano a Herat, alla fine del 2001. Battisti ha detto che ancora si sente come chi viva un incubo, e spera di svegliarsene – invano. Parlando dei preziosi collaboratori afghani, che sono diventati suoi amici personali, e del suo impegno per portarli in salvo da noi, ha dovuto interrompersi per la commozione. Intanto correva il filmato dei talebani che si divertivano coi famosi attrezzi ginnici italiani della palestra di Herat. La vita è strana, succede di dirsi che la pace è una cosa troppo complicata per lasciarla ai civili. In un’intervista all’Agi, giorni fa, alle prime avvisaglie, il generale Battisti aveva detto fra l’altro: “Se io fossi un governante di Taiwan, comincerei a dubitare dell’appoggio completo da parte degli Stati Uniti”. 

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