Rifornimenti a Lubiana nella Seconda guerra mondiale (foto LaPresse) 

piccola posta

Donne e confini a Lubiana, un passato sempre presente. Un libro

Adriano Sofri

Il diario Marta Verginella: una ricerca europea su donne e confini scritto da una storica, docente a Lubiana e residente a Trieste durante una pandemia, che ripristina bruscamente confini cancellati. Né di qua, né di là

Oggi Marta Verginella, Donne e confini, 128 pp., Manifestolibri. Diario di una ricerca europea su donne e confini scritto da una storica docente a Lubiana e residente a Trieste durante una pandemia, che ripristina bruscamente confini cancellati. A marzo 2020 Verginella è a Londra per un mese, per una conferenza sul femminismo sloveno a Trieste fra fine 800 e 1928, e per frugare in biblioteche e archivi. Studia le donne nelle transizioni postbelliche. Ha un impegno fra poco a Trieste, un’altra conferenza, su una scrittrice slovena di origine carinziana trasferitasi a Trieste per ragioni sentimentali. Ha passaporto sloveno e residenza triestina. Allarme, vigilanza su tosse altrui e propria, mascherine. Si appoggia a Katia, lubianese a Londra (bisnonno ammiraglio zarista, esilio da Odessa a Dubrovnik e Parigi) e su Jakub, cecoslovacco con famiglia in California e sorella in Toscana. Le informazioni attendibili le riceve da Francesco in Germania, il cui fidanzato ha una sorella infermiera a Londra, che smaschera le stupidaggini di Johnson sull’immunità di gregge. Mangia con cautela in un ristorante giapponese. Come s’è avvicinato il mondo. Sta alla larga dai raffreddati. Addenta lo zenzero, si disinfetta, intanto Italia e Slovenia chiudono. Magari resta.

 

E se viene il lockdown? Meglio partire. Intanto ripensa agli esuli del Novecento, sempre braccati, sempre incerti fra restare o andare. Venezia chiusa. Graz via Francoforte? Proviamo: da lì un taxi fino al confine sloveno, e un altro al confine italiano e a casa, a Trieste. Carica tre sveglie, parte. Il tassista pakistano le spiega che è un castigo di Dio, lei obietta prudentemente, per non irritarlo, che è un castigo della natura. Deus, sive natura. A Heathrow sembrano tutte persone in fuga. Il suo vicino d’aereo si rivelerà in fuga per le Barbados. A Graz misurano la temperatura, beccano un italiano e un cinese. 

 

Riesce a passare di frontiera in frontiera, l’ultima a piedi – come un tempo, col cuore in gola. Come nel Dopoguerra, quando di nuovo quel confine capricciosamente mobile cercò a tentoni un suo ancoraggio, e intanto le persone, un popolo di formiche, donne soprattutto, lo attraversavano, irriguardose della sua epopea di cortina di ferro: lavoratori, venditrici di pane e latte – nel 1947 le venditrici di uova minacciarono un suicidio collettivo contro le autorità jugoslave che vietavano il transito. Qui il diario della viaggiatrice del Covid lascia il passo alla storica, ma l’intreccio imprevedibile delle due esperienze si è ormai compiuto. Il confine italo-sloveno, che da tempo ha cessato di esistere, ora, da marzo, è stato richiuso dalle autorità slovene. Come quando le “pancogole” slovene comperavano i grani a Trieste, facevano il pane a casa, e lo rivendevano a Trieste: “giornalmente esse fanno questa gita”, scrive il delegato catastale nel 1830. A dorso d’asino. I testamenti femminili documentano via via una crescita (relativa, certo) di autonomia. Al pane succedono gli ortaggi, il lavoro di lavandaie, ma a fine secolo sono gli uomini a venire in città a lavorare e le donne rimesse a casa, con una campagna moralizzatrice che condanna la tentazione urbana e promuove la missione materna: sottomesse ai mariti e figlie di Maria. 

 

Continua così questo agile libro, alternando diario surreale – zenzero addentato, guanti, maniglie lustrate – e realissima storia. Le lavandaie, che non solo frequentano la città ma, spose o vedove, entrano nelle case, diventano la posta delle gelosie e dei sospetti, esposte al contagio dei panni sporchi delle padrone, ebree magari. E poi le domestiche, giovani e nubili, campagnole, silenziose e sottomesse: perdute a uomini e patria. Col tempo lungo e solitario della pandemia, la storica intanto si ingegna come può a fare il bucato, a sbrigare le faccende domestiche. 

 

Insomma, avete capito il doppio registro, ironico e serissimo, fra storie di donne di confini e vita vissuta di chi le ricostruisce. Delle donne che sono sempre state la maggioranza trascurata di profughi e sfollati. Verginella torna su un tema rivelatore del suo Il confine degli altri: gli sloveni del litorale, stranieri per gli italiani e “lahi”, italiani e mangiapane a tradimento per i connazionali dell’interno. Né di qua, né di là.

Di più su questi argomenti: