Eugenio Montale con una rosa "satura", 1971 (LaPresse) 

piccola posta

Nessuno canta "lo Stato siamo noi". La Storia parla di un "noi" diverso

Adriano Sofri

Qualche nota a margine al discorso di Mattarella per la Festa della Repubblica. A partire da Morante e Montale, che scriveva: "La storia non è magistra di niente che ci riguardi"

La storia siamo noi. A un italiano medio, “La storia” ricorda soprattutto il titolo di Elsa Morante (1974), e il sottotitolo, inutilizzabile per un discorso commemorativo: “Uno scandalo che dura da diecimila anni”. Dev’essere stato amato da Francesco De Gregori, il libro e il sottotitolo. E la dedica, tratta da César Vallejo: “Por el analfabeto a quien escribo”, “All’analfabeta per cui scrivo”. De Gregori: “quelli che hanno letto milioni di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare”. 

Più prezioso sarebbe il rimando a Eugenio Montale, “La storia” (in “Satura”, 1971), che aveva tagliato corto: “La storia non è magistra / di niente che ci riguardi”, e ironizzato: “non procede né recede, / si sposta di binario / e la sua direzione / non è nell’orario.”. Inutilizzabile anche lui in un discorso esortativo. “La storia non ha nascondigli”, dice De Gregori. Montale gliene aveva trovati: “La storia non è poi / la devastante ruspa che si dice. / Lascia sottopassaggi, cripte, buche / e nascondigli. C’è chi sopravvive”. 

Naturalmente mi piacciono le coincidenze, le rime, gli echi, le variazioni. Ma c’è qualcosa di più. Mattarella ha di nuovo deplorato “le ambiguità di chi teorizzava assurde e intollerabili equidistanze tra lo Stato e i terroristi”. La vicenda del 1977, le defezioni dei sorteggiati a far parte della giuria per il processo torinese alle Br, e più tardi, nei 55 giorni di Moro, lo slogan “né con le Br né con lo Stato”. La diatriba del 1977 prese le mosse da un’intervista al Corriere di Montale, una polemica rovente sul coraggio e la viltà. “Se fosse stato estratto il suo nome avrebbe accettato di fare il giudice popolare?” “Credo di no. Sono un uomo come gli altri ed avrei avuto paura come gli altri. Una paura giustificata dallo stato attuale delle cose, ma non metafisica né esistenziale… Non si può chiedere a nessuno di essere un eroe… La sconfitta dello Stato… è vecchia e viene da lontano… è la conseguenza, estrema, di un deterioramento che appare inaccettabile”. Non sembra anticipata, questa diserzione, dalla vecchia poesia? “C’è chi sopravvive /…/ La storia gratta il fondo / come una rete a strascico / con qualche strappo e più di un pesce sfugge. / Qualche volta s’incontra l’ectoplasma / d’uno scampato e non sembra particolarmente felice. / Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato. / Gli altri, nel sacco, si credono più liberi di lui”. (Intanto, Montale, e la sua “visione della vita priva di illusioni”, aveva avuto il Nobel). 

La stessa liquidazione della Storia di Morante, pur così diversa, tragica e pietosa, era stata accolta all’uscita da gran parte dell’intelligenza progressista come una diserzione. Dopo Montale toccò a Moravia, e Bobbio tenne una posizione cauta. Insorsero Alessandro Galante Garrone e Italo Calvino – “il nostro massimo poeta ci esorta alla morale di don Abbondio”. Si oppose coraggio a viltà. Leonardo Sciascia diventò il bersaglio maggiore. E’ interessante ricordare il motto polemico al quale conclusero, con Calvino, i denunciatori del “disfattismo” e (Giorgio Amendola) del “nicodemismo”: “Lo Stato siamo noi”. 

Lo Stato – non la storia. Quasi sinonimi? Quasi. Non si canterebbe: “Lo Stato siamo noi, nessuno si senta offeso…”. Bene, il 2 giugno si celebrava l’anniversario, il 75esimo, della Repubblica, dello Stato. “La storia siamo noi” serviva a richiamare un sentimento di comunità. “La storia siamo noi, siamo noi padri e figli, siamo noi, bella ciao, che partiamo”. 

C’era un dettaglio che colpiva, mercoledì. Il presidente Mattarella celebrava l’anniversario della repubblica che è poco meno che sua coetanea. (Mia, anche, si licet). Si fa il bilancio solenne di una storia comune, si esorta al futuro, ma non si dimentica che è anche la propria vita personale che è presso che trascorsa. La storia siamo noi, quelli della fermezza, quelli della trattativa, nessuno si senta offeso.