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Piccola Posta

Profeta controvoglia

Adriano Sofri

In libreria c’è “Dalla parte di Giona (e del ricino)” di Daniel Volgemann. E il pensiero va subito a Langer
 

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Daniel Vogelmann ha appena pubblicato per la sua Giuntina un libretto intitolato Dalla parte di Giona (e del ricino). Giona è il profeta riluttante cui il Signore ordina di alzarsi e andare a Ninive, la grande città nemica di Israele, a predicare contro la sua malvagità. Giona si alza e va a imbarcarsi per la parte opposta, a Tarshish, “lontano dal Signore”. Si scatena una burrasca furiosa, è la disobbedienza di Giona a scatenarla, chiede lui stesso ai bravi marinai di essere buttato in mare. La tempesta si placa, Giona è inghiottito dal grande pesce, dal profondo dell’abisso loda e prega il Signore, e il pesce lo vomita sulla riva. Ora il sopravvissuto Giona si alza e va a Ninive,  ad annunciarne la distruzione entro 40 giorni. I niniviti tutti, fino al re, proclamano il digiuno, si vestono di sacco, si convertono e sperano che Dio si penta. Il Dio di Giona è un Dio che si pente. Si pente, infatti, e rinuncia al castigo che aveva minacciato. Ma Giona è offeso e arrabbiato: sapeva già come sarebbe andata a finire, per questo era fuggito verso Tarshish, il Signore alla fine si pente, e allora perché tutta quella messinscena.

 

Giona ora preferisce morire. Si mette in una capanna fuori dalla città. Dio gli fa crescere un ricino che gli dia ombra e lo guarisca dal suo male, e Giona è contento. Ma Dio manda un verme a rosicchiare il ricino e seccarlo. Giona di nuovo vorrebbe morire. Per un ricino? – lo ammonisce Dio – e io non dovrei avere compassione di 120 mila persone che non distinguono nemmeno la destra dalla sinistra, e dei loro animali? E con la domanda finisce il libro di Giona. Io penso, dice Daniel V., che Giona vorrebbe domandare lui: ma che male aveva fatto il ricino? E poi, dice, “la più terribile domanda è se noi possiamo perdonare Dio di non aver salvato i suoi ebrei come invece fece con i niniviti”. Giona, dice, sa che “l’ultima parola spetta sempre a Dio”, ma ciascuno ha diritto alla propria parola, a vedersela a tu per tu con Lui. “Forse anche noi dovremmo fare un patto con Dio come fece quel povero sarto di cui parla il Maestro chassidico Rabbi Levi Yitzchak di Berditchev: ‘Se Tu mi perdoni, io ti perdonerò’.” (Il povero sarto, dunque, si prese l’ultima parola).

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Non so se Daniel V. sappia, o si sia ricordato, di un altro che faceva i suoi conti con Giona e col suo Dio – e con se stesso: Alexander Langer, nel 1991, A proposito di Giona. Gli piaceva che Giona fosse “un profeta controvoglia”, lontano dai profeti autoinvestiti e dalla compiaciuta demagogia. “Giona, il profeta ‘catastrofista’, sembra quasi deluso che poi la catastrofe non si avvera, e se la prende con Dio. Quasi sembra dire che ‘era inutile obbligarmi alla missione profetica, tanto lo sapevo che non sarebbe venuta così grossa’…”. Anche Alex era dispiaciuto per il ricino: “Il profeta finalmente si ritira nei pressi della città per contemplare gli effetti della sua missione. Una pianta di ricino gli spunta sopra la testa per dargli ombra – e così com’è spuntata, si secca e scompare. Qualcosa di completamente gratuito e immeritato, come al profeta (che se ne lamenta) sembra immeritata la sua scomparsa”. Al Giona contemporaneo toccava predicare ai renitenti la conversione ecologica, senza cedere al fanatismo: “Beati i profeti che non devono passare per la pancia della balena”, concludeva Alex. 

 

Ci sono dei sentimenti comuni a Daniel e ad Alex, e un po’, più debolmente, a tutti noi. La voglia di andare a Tarshish – dall’altra parte, “lontano dal Signore”. (Non si sa bene a quale Tarshish alludesse la Scrittura, un posto di mare, comunque). Anche senza ricordare Alex, Daniel ha finito così le sue paginette: “Comunque sia, bisogna immaginare Giona infelice”.

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