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Piccola Posta

Le incongruenze del generale Maletti sulla morte di Pinelli

Adriano Sofri

“Una spinta e Pinelli cascò”,  dice la canzone che in troppi ancora vogliono ignorare
 

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“Minacciano di buttarlo dalla finestra. Lo strattonano e lo costringono a sedere sul davanzale. A ogni risposta negativa, Pinelli viene spinto un po’ più verso il vuoto. Infine perde l’equilibrio e cade”. Così, all’età di 99 anni, il generale Maletti, già vicecapo del Servizio di Informazione militare e condannato per il depistaggio sulla strage, riferisce la sua “ipotesi” ad Andrea Sceresini, che ha avuto la tenacia necessaria a tornare da lui in Sudafrica, prima che si faccia tardi.

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“Minacciano di buttarlo dalla finestra. Lo strattonano e lo costringono a sedere sul davanzale. A ogni risposta negativa, Pinelli viene spinto un po’ più verso il vuoto. Infine perde l’equilibrio e cade”. Così, all’età di 99 anni, il generale Maletti, già vicecapo del Servizio di Informazione militare e condannato per il depistaggio sulla strage, riferisce la sua “ipotesi” ad Andrea Sceresini, che ha avuto la tenacia necessaria a tornare da lui in Sudafrica, prima che si faccia tardi.

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Maletti conforta l’“ipotesi” con le rivelazioni e i pareri che raccolse da altri alti ufficiali dei servizi, oltre che dal suo capo, il generale Miceli. La testimonianza (registrata) di Maletti è uscita due giorni fa sul Fatto, con un articolo di Sceresini e Alberto Nerazzini, autori di un’ampia inchiesta su Piazza Fontana per Audible. Sceresini l’anno scorso aveva avuto un colloquio con il brigadiere, all’epoca dei fatti, Panessa, il quale aveva pronunciato parole spregevoli alla volta di Pinelli, che “se l’era cercata”.

 

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L’“ipotesi” di Maletti, a prima vista, ripete la tesi largamente corrente, fuori dalle menzogne e dalle calunnie ufficiali: che la precipitazione mortale di Pinelli fu “un incidente sul lavoro”. Naturalmente non è così. Se un uomo viene minacciato di defenestrazione, strattonato e messo su un (basso) davanzale, spinto ogni volta di più verso il vuoto, e infine precipita, è stato assassinato. Questo si gridò e cantò fin da allora: non che Pinelli fosse stato premeditatamente buttato giù, ma che fosse stato vittima di un pestaggio o di un’altra violenza, compresa la tecnica dell’interrogatorio “a cavalcioni”.

 

“Una spinta e Pinelli cascò”, diceva la canzone. Questo era quello che unanimi negarono i poliziotti, e fecero passare, sottoposti e capi, per il suicidio, il balzo felino spiccato da un colpevole inchiodato. “Perde l’equilibrio e cade”? C’era un carabiniere, fra i poliziotti nell’ufficio di Luigi Calabresi, il tenente Lograno. L’unico che corse in cortile presso il corpo di Pinelli: tutti gli altri restarono al quarto piano, “impegnati ad avallare, per il bene proprio e delle istituzioni, la tesi del suicidio” – così Maletti. E’ una bella endiadi, il bene proprio e delle istituzioni. Resta ancora una volta da dire che tutto ciò che fu sancito, compresa la sentenza del giudice Gerardo D’Ambrosio del 1975, quella del malore e della perdita estroversa dell’equilibrio, era del tutto infondato, compromissorio e a sua volta calunnioso: che fosse caduto l’alibi di Pinelli, che Calabresi fosse uscito dalla stanza per andare in quella di Allegra. Sono anni ormai che si sa, che altri magistrati e magistrate hanno saputo da protagonisti interrogati, che la stanza di Allegra era diventata la stanza degli Affari riservati, che alla scrivania di Allegra si era affiancata la scrivania di Russomanno.

 

E’ appena morto di Covid, a 84 anni, l’allora commissario Pagnozzi, poi questore, che aveva la scrivania accanto a quella di Calabresi: non interpellato sulla compagnia degli Affari riservati, commemorato a salve. Che insomma tutto ciò che si disse, scrisse, processò e sentenziò sull’agonia e la morte di Pinelli, sulla passione di Pinelli, era falso, fondato sull’occultamento della confisca dell’indagine fin dal primo momento da parte degli Affari riservati, e sull’ignoranza di chi, me compreso, si applicò a studiare e denunciare le incongruenze, provatissime, delle inchieste. Da anni si sa, il conciliante D’Ambrosio ebbe il tempo di vivere e sapere, e tutti gli altri che vivono e vigono, e nessuno ha voluto dichiarare nullo e ignobilmente beffardo l’intero precedente di indagini e sentenze, e riaprire non solo storicamente ma giudiziariamente un caso non prescrivibile. Hanno, abbiamo, ricostruito quello che avvenne nella questura di Milano, centimetro per centimetro, facendo a meno del dettaglio per cui la questura di Milano era occupata dagli uomini romani degli Affari riservati, con gli inquilini abituali ai loro ordini. Oggi è il 12 dicembre, 51 anni dalla strage. Ieri il governo ha dettagliato le istruzioni natalizie. Distanza, niente cincin, lasciare le finestre socchiuse, uno spiraglio per cambiare l’aria. “Tu Lograno apri un po’ la finestra / una spinta e Pinelli cascò”. 

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