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Piccola Posta

Quel muro tra Italia e Slovenia è il ricordo di un incubo

Adriano Sofri

Al confine che divide Gorizia da Nova Gorica è rimasta una lastra nel pavimento, a rammentare l'assurdità di una recinzione in mezzo alla città

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Ho appena fatto un viaggio all’estero, un estero di casa. Si inaugurava il festival “Mesto knjige”, “La città dei libri”, a Nova Gorica, la parte slovena di Gorizia, e viceversa. La mia sera si svolgeva nella piazza della Transalpina/Trg Evrope. La Transalpina è la ferrovia, ancora in funzione, inaugurata nel 1906 dall’arciduca Franz Ferdinand che collegava Trieste con Jesenice e con l’Europa centrale. E’ la piazza che il confine tagliava in due dal 1947, prima con un reticolato di filo spinato, poi con un proverbiale Muro, un muretto in realtà, sovrastato da una rete di ferro, la versione locale della Cortina di ferro. Nella parte slovena c’era la stazione, dirimpetto, nella italiana, il capolinea dei tram goriziani: a pochi passi. Muro e rete vennero smantellati dai due sindaci in un gran giorno del 2004. Nel 2007 poi la Slovenia sarebbe entrata nell’Europa di Schengen. Ora una lastra nel pavimento ricorda quasi spensieratamente che là passava il confine, e non passavano le persone. Inopinatamente quest’anno, a marzo, la pandemia ha fatto ripristinare la chiusura, per fortuna brevemente. Mi hanno raccontato che i più giovani erano interdetti, perché non avevano nemmeno immaginato un’assurdità simile, una recinzione in mezzo alla loro città. E che i meno giovani avevano il cuore pesante all’improvviso ricordo dell’incubo che era stato, e alla scoperta che poteva tornare a essere.  (Poi, altra storia, ci sono i migranti per i quali, più o meno giovani, tutti i confini, anche quelli senza muri e reticolati, sono chiusi).

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Ho appena fatto un viaggio all’estero, un estero di casa. Si inaugurava il festival “Mesto knjige”, “La città dei libri”, a Nova Gorica, la parte slovena di Gorizia, e viceversa. La mia sera si svolgeva nella piazza della Transalpina/Trg Evrope. La Transalpina è la ferrovia, ancora in funzione, inaugurata nel 1906 dall’arciduca Franz Ferdinand che collegava Trieste con Jesenice e con l’Europa centrale. E’ la piazza che il confine tagliava in due dal 1947, prima con un reticolato di filo spinato, poi con un proverbiale Muro, un muretto in realtà, sovrastato da una rete di ferro, la versione locale della Cortina di ferro. Nella parte slovena c’era la stazione, dirimpetto, nella italiana, il capolinea dei tram goriziani: a pochi passi. Muro e rete vennero smantellati dai due sindaci in un gran giorno del 2004. Nel 2007 poi la Slovenia sarebbe entrata nell’Europa di Schengen. Ora una lastra nel pavimento ricorda quasi spensieratamente che là passava il confine, e non passavano le persone. Inopinatamente quest’anno, a marzo, la pandemia ha fatto ripristinare la chiusura, per fortuna brevemente. Mi hanno raccontato che i più giovani erano interdetti, perché non avevano nemmeno immaginato un’assurdità simile, una recinzione in mezzo alla loro città. E che i meno giovani avevano il cuore pesante all’improvviso ricordo dell’incubo che era stato, e alla scoperta che poteva tornare a essere.  (Poi, altra storia, ci sono i migranti per i quali, più o meno giovani, tutti i confini, anche quelli senza muri e reticolati, sono chiusi).

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