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Lontani da Afrin

Adriano Sofri

Cinquantacinque giorni di resistenza all'esercito turco. Ora l’intera popolazione civile cerca l'estremo scampo 

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Il 20 gennaio, con l’intera complicità delle potenze disposte a fargli da palo, l’esercito turco, “il secondo esercito della Nato”, aveva varcato il confine per terra e per cielo annunciando il castigo di Afrin nel giro di una manciata di giorni. Una resistenza solitaria, sicura della sconfitta e del sacrificio, gli ha tenuto testa finora per cinquantacinque giorni. Ora l’intera popolazione civile di Afrin, alcune centinaia di migliaia tra residenti e sfollati, curdi in maggioranza, cerca l’estremo scampo dalle bombe, dalla sete, dalle malattie dell’assedio turco, ennesimo paesaggio da lontano pietoso e indifferente. Poi sarà la volta di Manbij, e dei suoi 2 mila marine in via di docile trasferimento. Poi del resto del Rojava. Ogni volta di nuovo si misura il legame e insieme la distanza fra una popolazione e i suoi combattenti. Si può immaginare qui una “non resistenza al male”? La si può suggerire, da lontano? “Da lontano”, si è lontani dalla gente dispersa e disperata quanto dall’abnegazione dei combattenti. Da lontano si è al sicuro, e ci si accapiglia sulla sicurezza.

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