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Gli storni di Firenze

Adriano Sofri
Io mi picco di conoscere Firenze, e almeno i paraggi della stazione di Santa Maria Novella, come tutti i dropout. Conosco la danza serale degli storni che calano a prendere posto sui pini, dannosissimi e meravigliosi. Ma ho scoperto solo ieri un congegno collocato a salvaguardare Santa Maria Novella
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Io mi picco di conoscere Firenze, e almeno i paraggi della stazione di Santa Maria Novella, come tutti i dropout. Conosco la danza serale degli storni che calano a prendere posto sui pini, dannosissimi e meravigliosi. Ma ho scoperto solo ieri un congegno collocato a salvaguardare Santa Maria Novella, la basilica, i cui cipressi sono un altro dormitorio di migliaia di storni. C’erano stati, qui e altrove, tentativi di venirne a capo convocando falconieri e poiane e falchi sacri che, noleggiati per qualche periodo, intimidissero gli storni, ma senza successo. Anche i congegni acustici erano falliti. Ora ce n’è uno che riproduce gli stridii di paura e pena dei piccoli di storno attaccati dai falchi. Ripetuti ogni pochi minuti, fanno un rumore che spezza il cuore, non so se agli storni, senz’altro agli umani. Non so se abbiano un’efficacia. Fanno venire in mente brutti pensieri, come quello di registrare pianti e grida di piccoli umani per tenere alla larga dalla terra i loro adulti. In Siria, per esempio, o sulla costa turca. Storni e piccioni sono malvisti nelle nostre città, quasi quanto i ciclisti. Dei sentimenti contrastanti nei loro confronti fa fede l’inferno di Dante, dove un vento mena di qua, di là, di su, di giù, le anime dannate, “come li stornei ne portan l’ali, nel freddo tempo, a schiera larga e piena”. Povere anime, begli stornelli dal ventaglio rado e fitto. Subito dopo Dante raddoppia paragonandole alla formazione delle gru: “E come i gru van cantando lor lai faccendo in aere di sé lunga riga…”. E ora tocca ai piccioni, e allora l’intera dannazione e il suo fiato infernale vengono riscattati per sempre: “Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere…”.

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