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Treni e prigioni

Adriano Sofri
Sono andato da Firenze a Bologna, erano esauriti i posti nella mia classe, ho preso la business. Seduta di fronte a me c’era una signora elegante, bella, minuta. In 35 minuti ci siamo detti tutto l’essenziale.
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Sono andato da Firenze a Bologna, erano esauriti i posti nella mia classe, ho preso la business. Seduta di fronte a me c’era una signora elegante, bella, minuta. In 35 minuti ci siamo detti tutto l’essenziale. Ha cominciato lei, bene: “Lei è stato in prigione, vero?”. Vero, ho detto, ci sono stato a lungo. “Che avventura, eh?”. Ha 83 anni – posso dirlo, non farò il suo nome, che non so, né fornirò dettagli che possano farla riconoscere. Solo uno. “Non mi sono mai occupata direttamente di politica”, ha detto. “Ah, tranne una volta, in via Orazio, a Napoli. Una via così bella, e così pochi ci passeggiano, per paura dei motorini degli scippatori. Camminavo e davanti a me c’era un signore, e un colpo di vento gli portò via il cappello. Io lo raccolsi, lo raggiunsi e glielo consegnai. Era Giorgio Napolitano, mi ringraziò e salutò in un modo veramente distinto”. Poi ha aggiunto: “Non so se sia bene che intervenga ora sull’attualità politica. Comunque, un uomo davvero distinto. E sua moglie, così discreta”. Che meraviglia i giovani di oggi, ha detto. “Io a volte rimpiango che l’educazione così rigida dei miei tempi ci togliesse tanto. Non c’era cattiveria nei nostri, si pensava così. Però non si pensava abbastanza che si è giovani una  volta sola”. A Bologna sono sceso, era il compleanno di mio fratello.
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