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Le lucciole di Srebrenica

Adriano Sofri
Sul volo di ritorno da Sarajevo si riconoscevano (molti) pellegrini di Medjugorie, e (pochi) di Srebrenica, questi ultimi ancora col fiore lavorato a maglia sul bavero. I ritornanti da Medjugorie hanno l’aria di chi ha visto la luce. Però anche a me era successo, se non un miracolo, una meraviglia.
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Sul volo di ritorno da Sarajevo si riconoscevano (molti) pellegrini di Medjugorie, e (pochi) di Srebrenica, questi ultimi ancora col fiore lavorato a maglia sul bavero. I ritornanti da Medjugorie hanno l’aria di chi ha visto la luce. Però anche a me era successo, se non un miracolo, una meraviglia. Ero rimasto a Srebrenica per scrivere, e il paese, riempito fino al primo pomeriggio di 50 mila persone, se ne era svuotato per intero. Nella piazzetta era rimasto lo scemo del villaggio ad aggirarsi con la bandiera serba urlando minacce spietate contro i musulmani e il resto del mondo. Sono ripartito che era già notte, e a mezza strada, dove la strada si arrampica in montagna con una lunghissima serie di tornanti, fiancheggiata da boschi di abeti, faggi e castagni, all’improvviso il buio si è messo a brulicare di lucciole. Le lucciole non sono mai scomparse del tutto, nemmeno dal mio giardino a Tavarnuzze, ma diminuite sì. Qui erano migliaia, una vera luminaria, per chilometri e chilometri. Come un grande sereno cimitero di montagna. Ecco, non l’avevo mai visto così. Ora so come si dice lucciola in bosniaco: Svitac (pronuncia: svitaz). Plurale: Svitce (pron.: svitze). Le miriadi di lucciole della notte dell’11 luglio.
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