PUBBLICITÁ

Se Bill Clinton fosse venuto a Srebrenica

Adriano Sofri
Sono a Srebrenica, e guardo il fervore di opere destinate alla tutela delle decine di delegazioni di capi di stato e di governo, e altre alte personalità, che vengono a commemorare il ventennale dell'eccidio. E' giusto che sia così, naturalmente. Però c'è un dettaglio maligno, difficile da rimuovere
PUBBLICITÁ
Sono a Srebrenica, e guardo il fervore di opere destinate alla tutela delle decine di delegazioni di capi di stato e di governo, e altre alte personalità, che vengono a commemorare il ventennale dell'eccidio. E' giusto che sia così, naturalmente. Però c'è un dettaglio maligno, difficile da rimuovere. Il genocidio di Srebrenica fu attuato in un'area dichiarata solennemente protetta dalle Nazioni Unite e vigilata dai caschi blu. Confidavano in quella protezione internazionale decine di migliaia di persone rifugiate nel paese a gran maggioranza bosniaco-musulmana. Bastava che un Bill Clinton venisse a Srebrenica e si installasse in un bar della piazza. Clinton del resto fu quello che alla fine decise che bisognava smettere quel lunghissimo bagno di sangue e di infamia. Poteva venire, in un caffé della piazza, anche un qualunque Kohl, o Chirac, o Major - non dirò Lamberto Dini. Perfino il peggiore di tutti, Yasushi Akashi, plenipotenziario Onu, che andò a riposarsi a Dubrovnik. Era troppo rischioso, dite?
PUBBLICITÁ