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Kopenkin, un foreign writer visionario

Adriano Sofri
La pubblicazione del capolavoro di Andrej Platonov, “Cevengur”, nelle Letture Einaudi
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La pubblicazione del capolavoro di Andrej Platonov, “Cevengur”, nelle Letture Einaudi (504 pp., 26 euro) è un importante avvenimento. Qui ne ha scritto lo scorso 7 marzo Giulio Meotti. Vorrei allegare poche osservazioni. E prima di tutto alzare un bicchiere alla salute di Stepàn Efimyc Kopenkin, della sua cavalla Forza Proletaria, e della sua Dulcinea, Rosa Luxemburg. Poi felicitarmi per la dedica che la curatrice, Ornella Discacciati, alla fine di una fatica così impegnativa, ha riservato a Mauro Martini. Poi dirmi sconcertato dall’omissione, nell’introduzione e nella nota bibliografica per il lettore italiano, di qualsiasi cenno all’uscita del romanzo in Italia, nel 1972, per Mondadori, col titolo “Il villaggio della nuova vita”, nella traduzione di Marija Olsuf’eva. La Olsuf’eva – di cui si possono leggere i carteggi editoriali – ebbe il merito di raccomandare Platonov. La stessa traduzione riuscì nel 1990 col titolo variato, “Da un villaggio in memoria del futuro”, per Theoria -edizione che non ho mai visto. L’unica indicazione del nuovo volume Einaudi è nella riga: Edizione integrale a cura di Ornella Discacciati, dalla quale si può dedurre che le versioni precedenti non disponessero del testo integrale. E nella nota la curatrice avverte che in italiano il romanzo “Mosca felice” (Adelphi, 1996, trad. sua e di Serena Vitale) è l’unica opera tradotta integralmente . Nel suo “Forgiare l’uomo nuovo” ( Sette città , 2014) Discacciati accenna alle difficoltà di accesso al manoscritto del romanzo per gli studiosi stranieri, da lei superate grazie alla collaborazione di colleghi russi. Da ultimo, voglio denunciare un pensiero orribile che ha voluto insinuarsi nella mia testa alla fine della lettura di “Cevengur”: che il cielo ci scampi dall’eventualità che tra gli spregevoli esaltati foreign fighters del Califfato si infili un foreign writer visionario capace di concepire e scrivere un romanzo simile. Lui sarebbe decapitato, ma i posteri sarebbero costretti ad alzare il bicchiere alla salute di un Kopenkin salafita innamorato di una sua rosa del deserto, nell’intervallo riscattato fra il genocidio cui ha partecipato e il massacro cui soccomberà.
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