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INTELLETTUALI

Stefano Di Michele
Quelli sono come i tabaccai e le farmacie di domenica: quando servono, non si trovano mai aperti. Gian Carlo Caselli – vittima di una bravata da squadrismo all’università di Firenze – li ha invocati su Repubblica.
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INTELLETTUALI. Capirai. A volte, fanno venire in mente Gadda (che rispetto alla categoria sta alto come i corvi sul campo di grano di Van Gogh), “sdraiarsi nel comodo letto della vanità ciarliera è come farsi smidollare da una cupa e sonnolenta meretrice” – non per la meretrice, per carità, operosa e inoffensiva e persino utile, quanto piuttosto per la vanità ciarliera. Quelli sono come i tabaccai e le farmacie di domenica: quando servono, non si trovano mai aperti. Gian Carlo Caselli – vittima di una bravata da squadrismo all’università di Firenze – li ha invocati su Repubblica: “Dovrebbero essere gli intellettuali a dire basta e invece sempre più spesso stanno zitti”. In solitudine, l’ex procuratore ha dovuto patire il gesto odioso nei suoi confronti – persino il suo articolo sul Fatto se ne stava solo soletto, senza raccolta di firme a sostegno, senza accorrere editorialistico in soccorso. Di Caselli si può pensare ciò che si vuole (ma andò a Palermo quando i giusti venivano sbranati, e aiutò il paese a salvarsi dalla peste brigatista), però è stato vittima di prepotenze odiose. Lo stesso, Caselli sbaglia a dire che gli intellettuali “sempre più spesso stanno zitti” – parlano, ma solo con comodo loro; ciarlano, ma solo per loro comodità. Non è temerario, l’intellettuale: piuttosto furbo. Ama spesso lisciare giocoso il pelo al cucciolo ringhioso – salvo saltare fuori dalla gabbia quando si artigli sono ormai ben sviluppati. Poi spiegheranno il perché – certi sono bravissimi nello spiegare il perché a posteriori. E magari pretenderanno di avere ragione. Sarà (forse, chissà) attesa vana, l’attesa del dott. Caselli: molti intellettuali non amano le vittime. Piuttosto loro per vittime passare (pure quando dall’altra parte sapevano di stare).  
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