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Cafarnao - caos e miracoli

<p>La recensione del film&nbsp;di Nadine Labaki, con Zain Alrafeea, Boluwatife Treasure Bankole</p>

Mariarosa Mancuso
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Variety suggerisce il genere: “guttersnipe drama”, dove “guttersnipe” sta per “bambino di strada”. Anche peggio, “gutter” è la canaletta di scolo lungo il marciapiede: dalla Londra di Charles Dickens ai bassifondi della Beirut di oggi, dove vivono i rifugiati siriani, poco sembra essere cambiato. Una bambina di 11 anni viene venduta in matrimonio. Il fratellino maggiore di un anno sta in prigione (non è che da quelle parti per i minori esiste il riformatorio). Da lì accusa i genitori, colpevoli di averlo messo al mondo. Il processo fa da cornice, abbastanza inverosimile – sappia però lo spettatore che il ragazzino Zain Alrafeea è davvero un rifugiato siriano, e grazie al film è riuscito ad arrivare in Norvegia con i genitori e lì ha imparato a leggere e a scrivere (altri sfortunati hanno avuto grazie a “Cafarnao” aiuti per studiare). Più che un film, un’opera buona, in un contesto tanto miserabile da far vergognare chi dopo la proiezione ha già prenotato il ristorante. A Cafarnao, città della Galilea sul lago di Tiberiade, Gesù avviò la sua fortunata predicazione, facendo miracoli. Falsa pista: la regista libanese usa il termine per intendere un generico caos. E nel caos lo spettatore si ritrova. Grazie a una macchina da presa che non sta mai ferma e un sonoro che non si placa mai, conosce usanze locali come le magliette impregnate di psicofarmaci: dentro la prigione, la droga verrà ricuperata con un bucato e venduta un tanto al sorso. Bisogna dare atto a Nadine Labaki (la regista di “Caramel”, chiacchiere tra donne in un salone di bellezza, sempre a Beirut, qui cambia genere) di saper fare il mestiere, al netto dei messaggi. Tolta di mezzo la cornice, e l’andamento da documentario, il film parte davvero quando il ragazzino dodicenne si ritrova con un pupo nero a cui badare. E da legare amorosamente a un palo, quando deve sbrigare faccende pericolose (la madre era una lavoratrice etiope, sfruttata e senza documenti). I due sembrano personaggi da fumetto, tante sono le peripezie e le soluzioni ingegnose. Se manca la carrozzina e il pupo è stanco, una pentola da trascinare con la corda serve alla bisogna.

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