INTERSTELLAR

Mariarosa Mancuso

Eravamo andati a vedere “Inception” senza troppe speranze, sulla carta sembrava un timballo farcito di pretese. Ne eravamo usciti soddisfatti. Siamo andati a vedere “Interstellar” con lo stesso scetticismo e siamo usciti delusi.

    Eravamo andati a vedere “Inception” senza troppe speranze, sulla carta sembrava un timballo farcito di pretese. Ne eravamo usciti soddisfatti: le pretese erano meno del previsto, la loro realizzazione cinematografica era strepitosa. Siamo andati a vedere “Interstellar” con lo stesso scetticismo. La fantascienza filosofica o metafisica è un genere noiosissimo, come tutti i tentativi di insufflare cultura alta nei generi bassi (i generi bassi suggeriscono cose intelligentissime di loro, non servono le note a piè di pagina e le citazioni colte quanto posticce). Pensateci bene prima di sollevare eccezioni, potreste ritrovarvi in un cinemino dell’aldilà dove esaudiscono le preghiere dei cinefili e proiettano soltanto “Solaris” di Andrej Tarkovskij. Siamo entrati scettici e siamo usciti delusi. Abbiamo perso, a suo tempo, abbastanza pomeriggi leggendo romanzi Urania (vabbé, diciamo l’antologia “Le meraviglie del possibile” curata da Sergio Solmi e Carlo Fruttero, più chic) per non restare ammutoliti se uno nomina il Tesseract – l’equivalente di un cubo quando le dimensioni non sono tre ma quattro. Abbiamo visto abbastanza film sulla grande depressione per trovare un po’ noiosa la descrizione della vita sulla terra quando il grano è già scomparso (esultano i fautori della dieta senza glutine) e il mais sta per estinguersi. Passano tre quarti d’ora almeno – su tre ore – prima che Christopher Nolan spedisca finalmente nello spazio Matthew McConaughey, ex astronauta e contadino per necessità. Nel futuro, spiace doverlo dire, avremo la piaga delle tempeste di polvere senza peraltro riuscire a scampare le riunioni genitori-insegnanti. Qui Murph – no, fermi con le battute, il tormentone con la legge di Murphy e il nome della ragazzina sta già nel film – viene punita perché crede che le missioni Apollo non siano un falso, a differenza di quel ha letto sui libri di testo. Solo le scene ambientate nello spazio profondo – bisogna cercare un pianeta adatto agli umani – risultano davvero appassionanti. Sul pianeta ghiacciato spunta Matt Damon, il più bravo in un cast grandioso ma poco convinto quando deve dare lezioni di fisica quantistica, teoria della relatività, o solo spiegare la scorciatoia: esiste un “wormhole” – curvatura dello spazio tempo, per i lettori di Urania – vicino agli anelli di Saturno. Lo ha aperto qualcuno, ma chi sarà mai?