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La buona musica si può ascoltare con arrangiamenti mutati anche dopo cinquant'anni

Marco Ballestracci

Ha ancora senso fare uscire un album di cover? La domanda è ragionevole quando si ha a che fare con un grande gruppo e grandi interpreti. Il "caso" “All You Need is Love” del Solis String Quartet insieme a Sarah Jane Morris

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La domanda sorge spontanea a qualsiasi appassionato di musica un poco ragionevole: “Ha senso a 52 anni dallo scioglimento della band far uscire l’ennesimo album interamente composto di brani dei Beatles?”. La questione mantiene la sua pregnante validità sia che a inciderlo sia una tribute band di paese, una di quelle che infestano i programmi delle feste della birra, sia che sia John Zorn o, come in questo caso, il Solis String Quartet insieme a Sarah Jane Morris.

 

Che sia comprensibile è affatto comprensibile: i Beatles, c’è poco da discutere e storcere i nasi colti, sono dei musicisti che hanno la stessa dignità artistica di Igor Stravinsky o Orlando Gibbons, per non volare molto alti, anche se tranquillamente si potrebbe. Perciò è del tutto naturale che, come accade nella musica classica, musicisti contemporanei si confrontino con “Come Together” o con “Norvegian Wood”.

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Se questo abbia un senso o meno dipende evidentemente, per una prima scrematura, dal valore e dalla sincerità dell’artista che s’avventura in un possibile periplo dell’opera dei Beatles.

 

Perciò è chiaro che se “All You Need Is Love” fosse stato proposto da qualcuno di differente dal Solis String Quartet – cioè da un quartetto d’archi che dovrebbe essere appannaggio della musica classica, ma che da codesto appannaggio ha preferito divincolarsi – l’avvicinamento sarebbe stato molto più difficile. Perché viene subito molto spontaneo mettersi davanti al quartetto napoletano, con le braccia conserte, e sguinsciare loro un mellifluo: “Avete voluto allontanarvi dalla musica classica? Bene, ma adesso voglio proprio vedere come riuscirete a maneggiare i Beatles”.

 

Ma il Solis String Quartet non sta certo a farsi intimidire ne’ dagli sguardi un pochetto beffardi, né dal repertorio molto beatlesianamente classico di “All You Need Is Love” scelto insieme a Sarah Jane Morris. Così gli arrangiamenti camminano precisi tra l’essere e il non essere Beatles e tutto, finalmente, si riduce a essere ciò che è stato dal 1960 al 1970: semplicemente della gran bella musica che si può ascoltare con arrangiamenti mutati anche a 52 anni di distanza dal tiro di sipario di “Let It Be”.

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Insomma sono il valore e la sincerità degli artisti che rendono un’opera di rivisitazione considerabile e, in ultima analisi, ascoltabile anche se prima ci sono state un altro paio di milioni di versioni delle medesime canzoni. In altre parole “All You Need Is Love” del Solis String Quartet e di Sarah Jane Morris offre qualcosa che vale la pena di essere ancora ascoltato e di questi tempi non è affatto poco. Magari soprattutto anche dal vivo visto che il “lancio” di “All You Need Is Love” avverrà proprio in questi giorni al Blue Note di Milano. Tra il 14 e il 16 ottobre, in doppio set.

 

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Alla fine dello show si tornerà in strada, si guarderanno gli alberi di Via Borsieri e si penserà: “Beh, di sti tempi non pensavo di passare una serata così carina”.

 

È la musica di Lennon e Mc Cartney che continua a far miracoli, con gli archi o senza archi, a più di cinquant’anni di distanza. Basta saperla maneggiare con la cura necessaria. È ovvio.

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