Foto LaPresse

Louis Armstrong. Un miracolo (nero) americano.

Marco Ballestracci

Cinquant'anni fa moriva il trombettista americano. “Non è possibile suonare su una tromba qualcosa che lui non abbia già suonato”. Con i migliori saluti da parte di Miles Davis

Per molti il tanto celebrato Miracolo Americano non esiste. Sono panzane inventate da chi, come dice Tom Waits, vuole venderti un buco di culo di topo spacciandolo per un anello. Perciò quando qualcuno strepita in questo modo è necessario estrarre dal cilindro un coniglio chiamato Elvis Aaron Presley, prenderlo un secondo per le lunghe orecchie e annunciare: “Ecco a voi il Miracolo Americano!”.

In quindici giorni Elvis dovette, a furor di popolo, abbandonare il lavoro di fattorino in un magazzino di materiale elettrico per imboccare la strada che lo fece diventare, appunto, Elvis. Ma il miracolo americano molto, molto raramente oltrepassa la linea del colore, soprattutto se si è nati neri nel 1900 (o 1901) nel Sud degli Stati Uniti dove, alla faccia dell’abolizione della schiavitù del 1865, la tratta degli schiavi continuava imperterrita e senza vergogna alla luce del sole.

Il destino d’un bambino chiamato Louis Armstrong, di New Orleans, era segnato: le bande di ragazzini, il riformatorio, bande un po’ più grosse e reati un po’ più grossi, fino a incontrare “quello del formaggio”: quello che perde la pazienza e chiude, in tutti i sensi, la storia. Un boss di Storyville o il capitano Vincent Ayello. Ma a New Orleans regna il sincretismo religioso e Gesù si mescola ai loa, creando un santo particolare: San Giuda Taddeo, il patrono delle cause perse. È Giuda Taddeo che, nel riformatorio di Waifs Home, fa incontrare Louis e Peter Davis, un secondino appassionato di musica che scopre il suo orecchio assoluto e che gli consegna una cornetta.

“La prima volta che con la banda del riformatorio marciammo in parata attraverso il mio vecchio quartiere c’erano tutti, sui marciapiedi, a vederci passare. Tutte le puttane, i ruffiani, i biscazzieri, i ladri e i mendicanti erano lì ad aspettarci perché sapevano che c’ero io – il figlio di Mayann. Però nessuno immaginava che avrei suonato la cornetta e, pardon, che l’avrei fatto tanto bene”. E fu grazie a Giuda Taddeo che incontrò King Oliver, che lo ascoltò e si grattò la testa: “Senti come questa boccaccia a cassetto (Satchmo) suona la cornetta. Qua di sicuro c’è di mezzo la zampa di St. Jude e mi sa che è meglio assecondarlo”.

Il passaggio da New Orleans a Chicago non era niente di che: l’Illinois Central - il treno che collegava New Orleans e Chicago - era pieno di neri che cercavano al nord l’occasione buona e Louis era un nero come gli altri, solo con una cornetta nel bagaglio.

Ma il tragitto da Chicago a New York era un’altra faccenda. Se lo faceva un trombettista significava che aveva un gran talento.

Poi mentre Wall Street crollava Louis fulminò Londra e Parigi.

Tutto questo mentre a Washington si discuteva accanitamente se, per mantenere il pubblico decoro, fossero stati opportuni quei reggimenti nero-americani in Francia nel 1917, proprio a fianco dell’“esercito regolare”. 

Perciò quando ci si fa beffe del Miracolo Americano è meglio tener conto di Satchmo ed è anche bene che ne tengano conto coloro che lo considerano poco più di un saltimbanco: uno Zio Tom con la bocca larga e il fazzoletto bianco per asciugarsi il sudore.

Non era da tutti, nel 1957, spiattellare in faccia a un giornalista “Beh, visto come trattano la mia gente giù in Arkansas credo che il governo e il pPresidente possano andare belli, belli all’inferno”, ben sapendo di dover rinunciare alla tournèe in Unione Sovietica che il Dipartimento di Stato aveva già programmato.

Louis Armstrong morì famosissimo cinquant’anni fa. Per comprendere meglio il periodo, accadde solo tre anni dopo che Tommy Smith e John Carlos avevano alzato il pugno guantato a Città del Messico per poi essere immediatamente travolti dal gesto. Cinquant’anni per i comuni mortali, un bel po’ di più per chi sta aldilà della linea del colore.

Mentre per quando riguarda la sua qualità di musicista bastano poche parole. “Non è possibile suonare su una tromba qualcosa che Louis Armstrong non abbia già suonato”. Con i migliori saluti da parte di Miles Davis.

Di più su questi argomenti: