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Santa Cecilia, con Petrenko e Levit sala delle meraviglie. Peccato fosse vuota

Mario Leone

Il concerto alla radio, in streaming e oggi in differita su Rai2. Un nuovo canale per fruirne, dicono i sociologi della musica. Sarà. A noi sembra che sia come vedere un dvd

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La sala è vuota. Silenziosa. Al buio. Ce ne siamo fatti una ragione da quando il dpcm (una parola antimusicale perché senza vocali) del 25 ottobre ha chiuso tutto: teatri, auditorium, luoghi dove la musica vive. Concerti vietati al pubblico che ora li segue su internet, in streaming, in radio, in tv. Un nuovo canale per fruirne, dicono i sociologi della musica. Sarà. A noi sembra che sia come vedere un dvd (con inquadrature e regia peggiori). Intanto i teatri si sono attrezzati come meglio hanno potuto.

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La sala è vuota. Silenziosa. Al buio. Ce ne siamo fatti una ragione da quando il dpcm (una parola antimusicale perché senza vocali) del 25 ottobre ha chiuso tutto: teatri, auditorium, luoghi dove la musica vive. Concerti vietati al pubblico che ora li segue su internet, in streaming, in radio, in tv. Un nuovo canale per fruirne, dicono i sociologi della musica. Sarà. A noi sembra che sia come vedere un dvd (con inquadrature e regia peggiori). Intanto i teatri si sono attrezzati come meglio hanno potuto.

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Non si sa quando torneremo a battere le mani in sala, a censurare un colpo di tosse inopportuno o la luce di un telefono che brilla in una mano. Mancano la musica e la sua ritualità, il prima e il dopo. L’attesa e il commento. Manca ancor più quando in quello spazio vuoto, la sala Santa Cecilia, si esibisce Kirill Petrenko alla guida dell’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. La bacchetta russa naturalizzata austriaca dei Berliner Philharmoniker non è sola. Con lui il pianista Igor Levit, stesse origini, tedesco d’adozione. Stesso talento. Alla notizia della chiusura di tutte le sale da concerto tedesche, Petrenko ha manifestato il suo disappunto: “Speriamo – ha dichiarato – che il lockdown, per la cultura, non si trasformi in un knockdown”. Levit invece ha continuato a esibirsi suonando da casa su Instagram. Lunghissime dirette seguite da migliaia di utenti connessi da tutto il mondo. Una platea virtuale ancor più numerosa durante l’esecuzione di Vexations di Satie. Un breve motivo che, come riporta il compositore francese, deve essere ripetuto 840 volte. Levit l’ha fatto da solo in 19 ore. “Mi sembrava il brano più giusto da eseguire in questi tempi così drammatici. Mentre si esegue si soffre, si perde la cognizione del tempo e dello spazio. E’ la descrizione musicale di quello che stiamo vivendo”.

 

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E così, anche in differita su Rai2 oggi alle 10, Petrenko è già sulla pedana, l’orchestra disposta e le luci si alzano lentamente per il concerto che l’Accademia ha organizzato con Enel. Subito la musica, quella dell’Ouverture dell’Oberon di Carl Maria von Weber; il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Prokofiev e la Sinfonia La Grande di Schubert. Quando Petrenko dirige sorge subito una domanda: come può un direttore così schivo, che non rilascia interviste, che incide raramente dischi, avere un potere così magnetico sulle orchestre che dirige? Il gesto sicuro e perfetto si fonde con una mimica facciale luminosa, un gioco di sguardi e movimenti (a volte un po’ troppo accentuati, ma perdonabili) che calamita gli orchestrali e il pubblico in sala. In qualsiasi repertorio c’è la stessa alchimia. Sorride spesso Petrenko, ammicca e ascolta, riuscendo anche a “farsi da parte” di fronte alla cascata di note del concerto di Prokofiev dove Levit mostra una naturalezza disarmante. Il pianoforte vuole primeggiare. Sfida l’orchestra nel tempo e nelle dinamiche. Sfugge, scalcia in un vortice di virtuosismo, sonorità parossistiche. Un genio Prokofiev, che lo compose a vent’anni e raccolse le critiche degli “esperti”: “Se questa è la musica, preferisco l’agricoltura”, fu una delle più feroci e stupide affermazioni. Un genio Levit che lo domina dalla prima all’ultima nota senza alcun calo. Peccato per le inquadrature che non lo mostrano mai in viso e l’assenza di un bis solistico. Tra un cambio palco e l’altro, qualche “bravo”, un vociare (fastidioso) di sottofondo e un’immagine fissa sullo schermo che indica l’intervallo. La serata si chiude con Schubert. La sua ultima sinfonia guarda a Beethoven, cerca di imitarlo nella grandezza dell’organico e della partitura. Il corno da solo intona il tema. Il resto è un lavoro che ormai è in pieno fermento romantico. L’Orchestra di Santa Cecilia risponde repentina a ogni gesto del russo. Si arriva alla fine. Ritorna il silenzio. Nemmeno un cenno di saluto, Petrenko va via. Calano le luci e sorge il desidero che quelle sale possano riaprire quanto prima.

 

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